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Il diavolo e la Sacra Scrittura

Il diavolo e la Sacra Scrittura

…Veniamo alla seconda tentazione di Gesù, il cui significato esemplare sotto diversi aspetti è il più difficile da comprendere.

 La tentazione è da intendersi come una sorta di visione, in cui però è riassunta una realtà, una particolare minaccia per l’uomo e per l’incarico di Gesù. Anzitutto c’è qualcosa di strano. Per attirare Gesù nella sua trappola il diavolo cita la Sacra Scrittura. Cita il Salmo 91,11s che parla della protezione che Dio garantisce all’uomo fedele: “Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede”…

L’intero colloquio della seconda tentazione si configura come un dibattito tra due esperti della Scrittura…

Oggi la Bibbia viene assoggettata da molti al criterio della cosiddetta visione moderna del mondo, il cui dogma fondamentale è che Dio non può affatto agire nella storia – che dunque tutto ciò che riguarda Dio deve essere collocato nell’ambito del soggettivo. Allora la Bibbia non parla più di Dio, del Dio vivente, ma parliamo solo noi stessi e decidiamo che cosa Dio può fare e che cosa vogliamo o dobbiamo fare noi.

E l’Anticristo ci dice allora, in atteggiamento di grande erudito, che un’esegesi che legga la Bibbia nella prospettiva della fede nel Dio vivente, prestandogli ascolto, è fondamentalismo; solo la “sua” esegesi, l’esegesi ritenuta autenticamente scientifica, in cui Dio stesso non dice niente e non ha niente da dire, è al passo con i tempi.

La disputa teologica fra Gesù e il diavolo è una disputa che riguarda ogni epoca e ha come oggetto la corretta interpretazione biblica, la cui domanda ermeneutica fondamentale è la domanda circa l’immagine di Dio. La disputa sull’interpretazione è in ultima istanza una discussione su chi è Dio. Questa discussione intorno all’immagine di Dio, di cui si tratta nella disputa sulla corretta interpretazione della Scrittura, si decide però concretamente nell’immagine di Cristo: Egli, che è rimasto senza potere mondano, è davvero il Figlio del Dio vivente?….

JOSEPH RATZINGER/BENEDETTO XVI – da “Gesù di Nazaret” –

 

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Parlare (sempre) di migranti per cancellare Dio. Anche a Pasqua

Parlare (sempre) di migranti per cancellare Dio. Anche a Pasqua

Ma almeno nella Settimana Santa potrebbero parlarci di Gesù Cristo? O chiediamo troppo al Vaticano e a Bergoglio?

Non so se oltretevere ci siano ancora cattolici (a parte Benedetto XVI e pochi altri), ma in fin dei conti la ragion d’essere della Chiesa è solo questa e la gente comune ha un desiderio infinito di ascoltare uomini di Dio che parlano di Gesù, del senso della vita e dell’eternità.

Per discettare di clima e ambiente c’è già Greta Thunberg con i suoi seguaci, non c’è bisogno di Bergoglio che, se ci credesse, metterebbe in guardia dalle fiamme dell’Inferno più che dal riscaldamento globale.

Possibile che nella Chiesa sia stata completamente spazzata via la Passione di Cristo che si consegna al massacro per amore nostro, che “si svenerà per voi” come recita un antico canto polifonico, e che risorge, sconfiggendo il male e la morte, aprendo così agli uomini la vita eterna? Quante volte sentite Bergoglio parlare di resurrezione, di eternità, di Inferno, Purgatorio e Paradiso?

Da quando è iniziata la sua stravagante epoca sudamericana (alla messa d’inaugurazione parlò di ambiente), Gesù è diventato il Grande Misconosciuto, ma ancora di più il silenzio assoluto ha riguardato la vita eterna e il mistero di Dio.

Gesù viene ancora, saltuariamente, rammentato, ma solo come pretesto per parlare di migranti. A Natale ci hanno raccontato che Gesù era migrante (anche se non è affatto vero), così – invece della nascita del Figlio di Dio – sono stati celebrati i barconi.

Nella Settimana Santa ecco di nuovo il pretesto della Passione di Cristo per parlare – come al solito – di migranti. Il card. Bassetti, bergogliano presidente della Cei, perfino nella liturgia del giovedì santo ha voluto ripetere le solite baggianate farlocche (“I migranti non sono un problema, sono una risorsa”).

Nella Via Crucis del Colosseo, quella con la presenza di Bergoglio, c’informa “Repubblica”, le diverse “meditazioni contestano porti chiusi e lager dei migranti”.

È chiaro che nella Passione di Cristo è compreso tutto il dolore degli uomini, ma anzitutto, almeno di Venerdì Santo, si dovrebbe parlare di lui, perché per parlare di migranti Bergoglio usa già gli altri 364 giorni dell’anno.

Se poi vogliamo proprio parlare di atrocità ci sarebbero le sofferenze dei cristiani perseguitati che però il Vaticano di Bergoglio non ama considerare perché i persecutori sono spesso i regimi dei “fratelli” islamici o quelli comunisti come la Cina che Bergoglio vuole compiacere ad ogni costo (gli ha praticamente consegnato la Chiesa cinese).

Oppure ci sarebbe da parlare dell’attacco alla vita, a cominciare da quella dei “non nati” (molti milioni ogni anno), ma questo non è un tema politicamente corretto, quindi il Vaticano se ne guarda.

D’altronde la questione migranti è del tutto fuori tempo, perché oggi – chi ha a cuore la loro vita – dovrebbe solo rallegrarsi per la fine delle stragi in mare. Tuttavia non lo fa per non riconoscere i meriti del ministro dell’Interno.

La Chiesa africana considera una sciagura  la partenza di tante energie giovani verso l’Europa. Come ha spiegato il card. Robert Sarah, africano: “La Chiesa non può collaborare con la nuova forma di schiavismo che è diventata la migrazione di massa. Se l’Occidente continua per questa via funesta esiste un grande rischio – a causa della denatalità – che esso scompaia, invaso dagli stranieri, come Roma fu invasa dai barbari. Parlo da africano. Il mio paese è in maggioranza musulmano. Credo di sapere di cosa parlo”.

Il cardinale ha anche aggiunto:“Come un albero, ciascuno ha il suo suolo, il suo ambiente in cui può crescere perfettamente. Meglio aiutare le persone a realizzarsi nelle loro culture piuttosto che incoraggiarle a venire in un’Europa in piena decadenza. È una falsa esegesi quella che utilizza la Parola di Dio per valorizzare la migrazione. Dio non ha mai voluto questi strappi”.

Proprio il card. Sarah, grande uomo di Dio, ha spiegato mille volte che la più grande carità verso gli uomini è donare loro Dio, l’annuncio cristiano, ed è questo il compito della Chiesa.

Ma la chiesa progressista ha accantonato Dio e si occupa solo di politica, schiacciata sui temi della Sinistra. Bergoglio è in campagna elettorale permanente.

Sui giornali clericali sono spariti i “principi non negoziabili” e la politica “progressista” dilaga. Il giovedì santo, sulla prima pagina di “Avvenire”, giornale della Cei, campeggiava una grande pubblicità dell’ultimo libro del gesuita padre Bartolomeo Sorge (è tornato anche lui in questo revival degli anni Settanta). S’intitola: “Perché il populismo fa male al popolo”.

Capito? Mica spiega che il laicismo  o il relativismo fanno male al popolo, mica ci mette in guardia dal politically correct, mica tuona contro l’islamismo o contro il comunismo  (c’è ancora, nella Cina che sta conquistando il mondo).

No, il pericolo pubblico è rappresentato dal fantomatico “populismo”. Sono ancora fermi alla copertina di “Famiglia cristiana” con Salvini nei panni del diavolo.

La cancellazione di Dio dalla scena pubblica, di cui ha drammaticamente parlato Benedetto XVI nel suo ultimo intervento, sta avvenendo anzitutto ad opera di coloro che – per mestiere, se non per missione – dovrebbero parlare al mondo di Cristo e dell’eternità.

Lo ha detto con dolore lo stesso papa Benedetto: “Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio… Dio è divenuto fatto privato di una minoranza”.

Eppure gli uomini hanno uno struggente bisogno di ritrovare il senso della vita, di vedere una salvezza e guardano alla Chiesa come nei giorni scorsi, commossi, durante l’incendio della grande cattedrale di Notre Dame.

C’è fame e sete di Dio, ma chi dovrebbe sfamare e dissetare l’umanità è tarantolato dalla politica, dal fanatismo ambientalista e migrazionista e ha dimenticato Dio.

Eppure nulla come il volto di Cristo arriva al cuore. Come scriveva George Bernanos“Verrà un giorno in cui gli uomini non potranno pronunciare il nome di Gesù senza piangere”.

Siamo molto vicini a quel giorno.

Antonio Socci

Da “Libero”, 20 aprile 2019

 

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PADRE NOSTRO

PADRE NOSTRO

La preghiera che il MAESTRO ebreo, YESHUAH, Gesù, ha insegnato ai suoi discepoli.

Dietro ogni invocazione del Padre Nostro, sono riconoscibili espressioni di preghiere ebraiche o dell’Antico Testamento.

Eccone alcune, di cui è possibile assaporare la ricchezza. Queste antiche formule ci invitano a scoprire ed a gustare un nuovo senso di parole divenute troppo comuni e il cui spessore infinito può venire soffocato dalla coltre dell’abitudine

Padre nostro 

Facci tornare, Padre nostro, alla tua Torah… Perdonaci, Padre nostro…
(5a e 6a benedizione);

tu hai avuto pietà di noi, nostro Padre, nostro Re…
Padre nostro, Padre di misericordia, il Misericordioso, abbi pietà di noi!
(2a preghiera prima dello Shema “Ahavah rabbah“).

Nel testo biblico, ai ripetuti inviti al pentimento Israele risponde: Tu sei il nostro Padre Abìnu attà.

  1. Is63, 16: « . . . poiché tu sei nostro padre, anche se Abramo non ci conosceva e Israele ci ignorava, Tu, o Eterno sei nostro padre, nostro redentore, da sempre questo è il tuo nome . . . »
  2. Is64, 7-8: «Non c’è alcuno che invochi il tuo nome, che si scuota per afferrarsi a te, perché tu ci hai nascosto la tua faccia e ci lasci consumare in balia delle nostre iniquità.
    Tuttavia, o Eterno, tu sei nostro Padre, noi siamo l’argilla e tu colui che ci formi; noi tutti siamo opera delle tue mani».

Che sei nei cieli

Che le preghiere e le suppliche di tutto Israele siano accolte dal loro Padre che è nei cieli (Qaddish)

Sia santificato il tuo Nome

Santificherò il mio Nome grande (Ez 36,23) – Santo e terribile è il suo Nome (Sal110,9)

Santo sei tu e terribile è il tuo Nome (qedusha ha-Shem:  lui solo è eccelso e santo: n.18)
(Semoneh-esre)

Tu sei Santo e il tuo Nome è santo, e i santi ogni giorno ti loderanno. Benedetto sei tu, Signore, il Dio Santo! Noi santificheremo il tuo Nome nel mondo, come lo si santifica nelle altezze celesti
(3a benedizione)

Sia magnificato e santificato il suo Nome grande nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà
(Qaddish)

Venga il tuo Regno

Egli stabilisca il suo regno nella vostra vita e nei vostri giorni, e nella vita di tutta la stirpe d’Israele, ora e sempre
(Qaddish).

Dalla tua Dimora, Padre nostro, risplendi e regna su di noi, perché noi attendiamo che tu regni in Sion
(3a benedizione di Shabbat)

Allora il tuo regno si manifesterà ad ogni creatura (Assunzione di Mosè, 10,1)

Ristabilisci i nostri Giudici… e regna su di noi, Tu solo Signore, con amore e misericordia… Benedetto sei tu Signore, Re, che ami la giustizia e il diritto
(11a benedizione)

Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra

Dio è in cielo e tu sei sulla terra (Qo 5,1) – Avverrà quel che in cielo si vuole (1Mac 3,60)

Fa’ la tua volontà, in cielo, in alto, e dona un coraggio tranquillo a coloro che ti temono sulla terra (R. Eliezer)

Tale possa essere la tua Volontà, Signore… guidare i nostri passi nella Torah e farci aderire ai tuoi comandamenti
(Preghiera del mattino)

Il nostro pane quotidiano donaci oggi

Non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il cibo necessario (Pr 30,8)

Tu nutri ogni vivente per amore, per la tua grande misericordia risusciti i morti, sostieni coloro che cadono, guarisci i malati e liberi i prigionieri. Chi è come te, Maestro delle potenze?
(2a benedizione)

Benedici per noi questo pane,  nostro Dio (Birkat ha-Shenim)

Dio sia benedetto ogni giorno, per il pane quotidiano che ci dona (R. Eliezer)

Benedici per noi, Signore Dio nostro, questo anno e tutti i suoi raccolti, per il bene. Saziaci della tua bontà.
(9a benedizione)

E perdona a noi i nostri debiti come noi abbiamo perdonato ai nostri debitori

Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati (Sir 28,2)

Perdonaci, Padre nostro, perché abbiamo peccato; facci grazie, nostro Re, perché abbiamo fallito, perché tu sei colui che rendi grazie e perdoni. Benedetto sei tu, Signore, che rendi grazia e moltiplichi il perdono
(6a benedizione)

Padre nostro, nostro re, perdona e rimetti tutte le nostre colpe, allontana e cancella i nostri peccati davanti ai tuoi occhi (Abînu Mal-kènu)

Perdonaci, nostro padre, perché abbiamo peccato contro di te. Cancella i nostri peccati davanti ai tuoi occhi, perché sei buono e perdoni (Selishah: n.21)

Perdona i nostri peccati come noi li perdoniamo a tutti coloro che ci hanno fatto soffrire
(Liturgia dello Yom Kippour)

Non ci indurre in tentazione

Non ci abbandonare nel potere del peccato, della trasgressione, dell’errore, della tentazione né della vergogna. Non lasciar prevalere in noi l’inclinazione al male
(Preghiera del mattino)

Liberaci dal male

Guarda la nostra miseria e guida la nostra lotta. Liberaci sena tardare per il tuo Nome, perché tu sei il Liberatore potente. Benedetto sei tu, Signore, Liberatore d’Israele
(7a benedizione)

Guarda la nostra afflizione e sostieni la nostra causa e liberaci per il tuo Nome (Ghe’ullah: n.22)

Salvaci dagli impudenti e dall’impudenza, dall’uomo malvagio, dal cattivo incontro, dalla forza cattiva, dal cattivo compagno, dal cattivo vicino, da Satana il  corruttore, dal tuo giudizio rigoroso, da un cattivo avversario in tribunale. (Berakhoth)

AMEN

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Vignette e religione: sì o no?

Vignette e religione: sì o no?

Una riflessione su rispetto e libertà


di: Vittorio Robiati Bendaud


Una premessa: sin da ragazzo sono lettore di Tex e di Dylan Dog. Complimenti, dunque, a casa Bonelli, che ha tanti meriti nell’alfabetizzazione – e non solo – di questo Paese.
Il fatto: la concorrente Editoriale Cosmo di Reggio Emilia ha diffuso in edicola questo mese il fumetto Nosferatu, con avventure di umani e vampiri. Tra gli epocali fenomeni narrati ci sarebbe l’umano vampirizzato Yehoshua di Nazareth, alias Gesù, ivi inclusa la sua resurrezione, trionfo della sua leadership e di un certo vampirismo (cfr. p. 68 e segg).


Non credo che l’ebreo Yehoshua di Nazareth, esponente di correnti ebraiche molto vicine all’ebraismo farisaico e influenzato forse dal coevo essenismo, al pari del Gesù Cristo degli amici cristiani, necessiti di difensori d’ufficio. Tramite i suoi insegnamenti, si difende benissimo da solo.


Tuttavia credo che da difendere ci sia il ben ragionare. Cartesio riteneva che il buon senso fosse diviso equamente tra gli esseri umani. Lo storico Marco Cipolla ci ha meglio edotti, fortunatamente, sulle leggi fondamentali della stupidità umana.


Dopo Charlie Hebdo, la domanda è: “E se ci fosse stato, anziché Gesù – o Mosè – (entrambi ebrei, comunque), Maometto? Che cosa sarebbe successo?”.


So già che, anche con un innegabile fondo di verità, molti converrebbero nel sostenere che l’errore consiste nel denigrare le religioni, deriva erronea della libertà di espressione. Sono d’accordo.


Tuttavia, vi è un grave vulnus: questa riflessione, così assennata, si fa strada dopo la tragedia parigina, dopo il terrore. Ci si esprime, per così dire, a posteriori


Accade a posteriori, in primo luogo, perché per anni si sono denigrati cristianesimo ed ebraismo e i loro rappresentanti in varie forme (si pensi, non da ultimo, alla locandina irriverente di un concerto punk a Ferrara denigrante il locale arcivescovo, per non parlare delle vignette offensive che circolarono su Benedetto XVI), senza il turbamento indignato di nessuno. Dov’erano gli indignati? Nel caso, chi li ha presi sul serio? Per i più si trattò, conseguentemente, di satira legittima, talché le rampogne degli offesi furono considerate come iper-sensibilità o come intolleranza. 


Quella stessa buona e colta espressione della società “laica” che oggi chiede il rispetto per l’Islàm è rimasta indifferente all’analogo trattamento riservato a ebrei e cristiani, quando invece non divertita o addirittura complice soddisfatta. Parimenti molti “intellettuali” ebrei e cristiani – ahimè quasi tutti purtroppo delle aree progressiste e politicamente orientati a sinistra -, in relazione a questo tipo di “satira”, hanno spesso preferito lasciar correre, sentendosi “liberali” e “tolleranti” e dimostrando, purtroppo, troppo poco attaccamento alle rispettive Comunità di fede e ai loro simboli più cari. Chi di questi due diversi, ma parimenti inani, gruppi di intellettuali e politici, ha tuonato e prende, per esempio, sul serio le migliaia di vignette antisemite, realmente demonizzanti gli ebrei, che riempiono i giornali del mondo arabo islamico da decenni e che sono da tempo ormai diffuse anche in Europa? La domanda è dunque anzitutto questa: perché invalsi trattamenti diversi circa la comune percezione dell’esercizio del diritto di satira – o della sua censura – per cristiani e ebrei da una parte e musulmani dall’altra?


Rispetto ai fatti del terrore di matrice islamica – a Parigi e non solo – la riflessione sul diritto di satira è a posteriori anche da un secondo punto di vista, più insidioso e preoccupante.


Si può invitare con fermezza, senza ambiguità insidiose, al rispetto per le religioni, ponendo limiti alla libertà di espressione e di satira, solo dopo il terrore? Specifico meglio: si può fondare – o invocare – una morale pubblica e intersoggettiva “del rispetto” unicamente a fronte del terrore esperito? Dunque, in definitiva, solo in quanto reazione, subendo così ancora la paura? Per dirla fuori dai denti: non è profondamente insidioso ed errato fondare il rispetto sulla paura?

Questo assoggettamento – a posteriori – a un’etica giornalistica e satirica della cautela a fronte del terrore scatenatosi – o potenziale e latente -, oltreché risentire di una debolezza concettuale e morale intrinseca, significa ahimè darla parzialmente vinta ai terroristi che, proprio con il terrore, vogliono imporre il loro non-pensiero e il loro fanatismo e, sempre con il terrore religioso, fondare l’etica pubblica.

Chissà se quanti oggi invocano, giustamente, il rispetto delle religioni in relazione a certa satira hanno pensato anche a questo dettaglio etico e politico, tutt’altro che trascurabile?


Permangono altre domande, diverse ma convergenti. 

Possono le religioni, che giustamente invocano la necessità di una satira non offensiva (con l’interrogativo non banale per l’autorità civile laica, aperto a risposte multiple e tra loro forse inconciliabili, di come individuare il limite giuridico dell’eventuale offesa), evitare di banalizzare e presentare in maniera caricaturale o, peggio, demoniaca, l’altro da sé, credente in altre fedi oppure non-credente? Anche in questo è necessaria la reciprocità. L’ebraismo, oltreché in alcune concezioni teologiche e normative arretranti all’epoca talmudica (la dottrina del Noachismo), pur con opinioni diverse, già nei suoi Maestri medievali, aveva dato risposte significative e costruttive (in rapporto, in particolare, agli altri due monoteismi). Si pensi a Yehudah ha-Levì e a Maimonide e, successivamente, a rabbini insigni quali ‘Emdin, Rivkis, Hirsch, Sacks. Il cristianesimo cattolico ha risposto in maniera ufficiale e vincolante in vari passi celebri di Nostra Aetate, della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes.


Può l’Islàm condannare le vignette antisemite che circolano sui giornali arabi e di altri Paesi islamici? Può l’Islàm evitare di ridurre gli ebrei a coloro che hanno alterato la Rivelazione divina e i cristiani a coloro le cui pratiche cultuali posseggono sapori idolatrici, apprezzandoli positivamente e evitandone caricature, siano esse teologiche, morali o politiche?


Può la cultura laica evitare di banalizzare le religioni, svilendole unicamente – o in prima istanza – a generatori di violenza, anche se esistono legami insidiosi tra religioni e violenza? Può la cultura laica evitare di offrire una errata visione caricaturale, pseudo-illuminista, delle religioni, tal ché esse costituiscano soltanto un coacervo di ignoranza, psicosi collettive, mortificazione della libertà individuale e dispotismo? 


Avrei, infine, delle domande da porre a coloro che fanno satira “senza freni” e a certi vignettisti, specie in relazione al loro senso di responsabilità sociale. Tuttavia, a fronte di morti così orrende, preferisco condividere il loro lutto. Anche perché vi è un discrimine netto e inviolabile tra il dominio della parola, anche se mal esercitata, e il dominio della violenza fisica, laddove chi compie certi atti è meno che animale. Per non offendere gli animali, si capisce. 
Per il momento, in relazione agli editori di Nosferatu, mi chiedo – ed è ovviamente solo una provocazione – a quando, dopo Gesù, Mosè e Maometto? Saranno mummie, zombie o licantropi?


Vittorio Robiati Bendaud
29/01/2015 Milano
Fonte: www.mosaico-cem.it




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Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma

Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma

L’Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma


invita agli incontri con cui l’Associazione inaugura il proprio 
programma 2014-2015


Domenica 26 ottobre 2014 ore 18

Domenica 23 novembre 2014 ore 18

incontro dedicato a Sukkot: la festa delle Capanne

Relatori: Ignazio Genovese e Gabriele Mallel

Per entrambe le conferenze saremo ospiti della Sala Metodista, via Firenze, 38

Segnaliamo inoltre l’importante appuntamento del 
Colloquio Ebraico-Cristiano di Camaldoli 
4-8 dicembre 2014 
dedicato a “Gesù, l’ebreo”.




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Israele e Chiesa: accecamento.

Israele e Chiesa: accecamento.


Meditazione su Israele e Chiesa: l’accecamento. 

 di Adolfo Lippi cp

 

 
«Per un lungo tratto di strada camminarono insieme coloro che credevano alla croce e quelli che dovevano portarla. In tal modo la passione del Nazareno divenne pretesto per una passio judaica senza fine nel cuore di un’Europa battezzata» Pinchas Lapide[1].

Sono assai note le raffigurazioni scultoree della Chiesa e della Sinagoga che si trovano in alcune cattedrali medioevali. La Chiesa, raffigurata come una regina trionfante, che inalbera la Croce come un vessillo di vittoria, la Sinagoga umiliata e con gli occhi bendati. La benda sugli occhi ricorda la Lettera di Paolo ai Romani, che parla di un accecamento o indurimento della vista per non aver riconosciuto il Messia. La splendida donna che simboleggia la Sinagoga nella Cattedrale di Strasburgo ha la testa chinata di fianco quasi ad indicare smarrimento.

E’ importante osservare che nel contesto paolino l’accecamento d’Israele riguardo al Messia ha una valenza positiva: serve a far entrare le genti nell’economia della salvezza preparata da Dio per Israele e per tutti gli uomini. Paolo arriva ad argomentare a favore di Israele dicendo: “Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità!… Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione per il mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?” (Rom 11, 12 e 15).

Segue il paragone della radice e dei rami con la seguente conclusione, della quale mi pare che la teologia cristiana si sia ben poco ricordata: “Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma la radice che porta te” (Rom 11, 18).

Nella teologia della sostituzione, dominante fino al recente Concilio, il discorso dell’accecamento fu di fatto estrapolato dal suo contesto. L’apostolo dei gentili è l’unico che abbia patito un’angoscia mortale di fronte all’orgoglio di alcuni cristiani gentili. Ha percepito un pericolo enorme e ha visto giusto. Come si può chiamare il fatto che gli altri cristiani non abbiano avuta alcuna percezione di questo male se non un accecamento? Che fossero così ciechi i crociati del Medio Evo, che dovevano essere assai ignoranti e grossolani, o lo fossero alcuni monaci fanatici lo si può pure comprendere. Ma cosa pensare di uomini impegnati al massimo a favore della giustizia di Dio e del bene comune come Giovanni Crisostomo, Girolamo o Ambrogio di Milano? Non c’è altra riposta se non che anche in essi c’erano dei punti oscuri nei quali non entrava la lucidità di Paolo, nonostante che i suoi scritti fossero considerati Scrittura rivelata.

Per Girolamo gli ebrei sono “serpenti la cui immagine è Giuda e la cui preghiera un raglio d’asino”. Per Giovanni Crisostomo sono “banditi perfidi, distruttori, dissoluti, simili ai maiali, che superano in ferocia le bestie selvatiche… essi immolano al diavolo i loro bambini”. Ambrogio di Milano si oppose all’imperatore Teodosio che aveva ordinato il ripristino di una sinagoga bruciata, scrivendogli: “E’ la mia negligenza ad impedirmi di dare io stesso fuoco alla sinagoga di Milano”[2].

E’ opinione ormai condivisa fra i teologi che il cristianesimo sia identificato in quanto tale dalla teologia della Croce. La croce è criterio ermeneutico e architettonico della teologia cristiana, cioè della conoscenza di Dio da parte dei cristiani. Se riflettiamo per un poco sul passo riportato sopra di Pinchas Lapde, è il caso di dire che, a parte singole persone sante, dalla parte della croce ci sono stati più gli ebrei come popolo che non i cristiani. O meglio che i popoli cristiani parlano della croce, ma il popolo ebraico la porta. Una croce diventata vessillo di potere mondano, come nell’allegoria medioevale della Chiesa, è ancora la croce dell’ebreo Gesù di Nazareth? C’è stato un accecamento diffuso e condiviso senza obiezioni.

Lutero fu il più lucido teorizzatore della teologia della Croce: mentre, per lui, la teologia della gloria cerca Dio attraverso le sue opere grandiose e potenti, la teologia della Croce “insegna che le pene, le croci e la morte sono il tesoro più prezioso fra tutti”, attraverso il quale Dio confonde la superbia e la boria dell’uomo e rivela se stesso in quello che può apparire il suo contrario[3]. Anche lui, però rimase totalmente accecato per quanto riguardava l’umiliazione e la sofferenza degli ebrei. Commenta una teologa protestante: “La chiave di volta della relazione fra Dio e gli uomini è Cristo, vero uomo e vero Dio. Una concezione teologica di tal genere conduce Lutero a contrapporre le sfortunate e movimentate peregrinazioni del popolo ebraico alla marcia trionfale (e sotto moli punti di vista trionfalistica, se soltanto si pensa all’allegoria della Chiesa incoronata e della Sinagoga con gli occhi bendati) della Chiesa cristiana. Paragonando le due storie, gli ebrei dovrebbero arrendersi all’evidenza che la collera di Dio è sopra di loro e che il Signore li ha abbandonati a favore dei cristiani”[4]. E’ un ragionamento rigorosamente opposto a tutta la theologia crucis teorizzata dallo stesso Lutero. Che cos’abbiamo qui, se non un altro esempio di accecamento?

Scriveva ancora Lapide: “Nel pensiero cristiano, il modo di interpretare le sofferenze conobbe una strana dissociazione. Per un verso alla luce della Passione di Cristo esse vennero considerate come un segno celeste del loro accoglimento da parte di Dio… D’altra parte le sofferenze del popolo da cui Gesù ha tratto origine venivano interpretate come il segno della ripulsa, ad opera dello stesso Dio… Si dimenticò e si rimosse il fatto che, stando al dato biblico, l’elezione di Dio e la sofferenza dei suoi eletti sono strettamente congiunte”[5].

La richiesta di perdono fatta dagli ultimi papi al popolo di Israele è stata un enorme progresso per il cammino dell’umanità verso Dio, per la crescita nella scoperta del Dio vivente. Il nostro sogno di oggi è che si faccia insieme un cammino di ascolto di Dio, Israele e Chiesa. Se l’alleanza con Israele non è stata mai revocata, ce ne possiamo noi disinteressare? E, se ci interessa, non lo esprimeremo nella preghiera, anche liturgica? Abbiamo tolto il negativo – oremus et pro perfidis judaeis – : perché non procedere al positivo? Ci possiamo disinteressare dello Stato di Israele e della Terra Santa? Una piccola preghiera liturgica c’è: quella del venerdì santo. Potrebbe ampliarsi.

Ma il caso più eclatante di accecamento non appartiene alle Chiese o alla fede ebraica, bensì ad una corrente di pensiero che dalla luce e dalla visione traeva la propria autocomprensione: l’illuminismo. Secondo questa corrente che ha influenzato e continua ad influenzare la modernità, l’istruzione e il progresso tecnico portano la luce e conseguentemente i comportamenti giusti, l’ignoranza e il rifiuto delle scienze causano l’accecamento e quei comportamenti malvagi e crudeli che noi giustamente deploriamo nelle epoche oscure. E’ accaduto, però, che l’accecamento più scandaloso e più gravido di conseguenze fatali per l’umanità non si sia verificato in tempi oscuri o in qualche nazione arretrata, ma nella nazione forse più evoluta culturalmente, ben ordinata e ben organizzata razionalmente nel secolo ventesimo. Chi ne ha sofferto di più è stato proprio quel popolo ebraico che era stato definito cieco. Mentre l’ubriacatura nazista raggiungeva il suo vertice, i filosofi ebrei Horkheimer e Adorno scrivevano Dialettica dell’illuminismo, che si potrebbe sintetizzare nella tesi secondo cui l’illuminismo tende a convertirsi nel suo contrario, cioè nell’oscurità e nella barbarie.

Non si sradicherà l’antisemitismo dall’Occidente finché non si andrà oltre il piatto egualitarismo illuminista e razionalista che presume delegittimare ogni elezione, ogni vocazione e ogni missione e rende così impossibile la comprensione della fede ebraica.

Ci domandiamo: come è stato possibile Hitler? Possiamo dire di prendere sul serio questa domanda se la traduciamo così: come è possibile che Hitler sia così vicino a noi nell’Occidente cristiano? Ci sono dei passaggi che si possono riconoscere e ripercorrere a volo d’uccello per prendere chiaramente coscienza di ciò che è avvenuto.

I cristiani di cultura greca hanno attuato l’inculturazione della fede cristiana nell’ellenismo, inculturazione che certamente ha avuto anche i suoi meriti. Questo, però, ha già distanziato la cultura cristiana da quella ebraica. Poi questa inculturazione ellenico-bizantina si è ancor più distanziata dalla fede di Israele nella Scolastica aristotelico-tomista. L’illuminismo rompe tanti altri legami. L’analisi che ne fa la Scuola di Francoforte dovrebbe essere studiata sistematicamente. Sia le ideologie fasciste sia quelle marxiste del secolo ventesimo manifestano questa deriva dell’illuminismo. Gli intellettuali in massa, salvo rare eccezioni, hanno canonizzato queste derive spaventose[6].

Mentre tutte le derive del pensiero occidentale si attuavano, un popolo rimaneva fuori e stava a guardare, subendo tutte le minacce di culture potenti quasi come una fatalità legata alla propria fede nell’elezione alla quale non poteva rinunciare, perché essa lo costituiva in quanto popolo[7].

Qui mi viene da ricordare l’ammonimento dell’ebreo Shaùl-Paolo: “Tu non insuperbirti, ma abbi timore. Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te” (Rom 11, 21).

Soltanto un popolo umile – o il popolo costituito da tutti gli umili della terra – potrà indicare la via dell’umiltà, che è la via della fede nel Dio vivente totalmente persa nella mentalità illuminista. Israele mostra che cos’è l’umiltà: non è certamente il ritenersi un popolo superiore ma non è neanche il ritenersi un popolo inferiore agli altri, bensì l’accettare con fiducia e fermezza il peso della fede nel Dio vivente che entra in rapporto con lui. Anche l’ebreo Gesù di Nazareth, che reclama con decisione il suo essere l’inviato del Padre, mostra alla stessa maniera che l’umiltà è la forza di portare il peso della verità della propria elezione fino al Calvario.

La conclusione della riflessione angosciosa e tuttavia piena di speranza di Paolo è: Dio ha chiuso tutti nella disobbedienza per fare a tutti misericordia (Rom 11, 32). Se l’alleanza fra Dio ed Israele non è stata mai revocata, come Paolo aveva insegnato, allora tutti quelli che hanno resistito alla tentazione di scrollarsela di dosso, sono martiri. Questo non ci porta alla disperazione del relativismo religioso e morale, ma solo alla consapevolezza che la storia dell’umanità, letta alla luce della Torah, cioè la storia di Dio nel mondo, va riscritta. E’ una storia punteggiata da diversi accecamenti e liberata progressivamente da autentiche illuminazioni. All’inizio di tutto c’è la fede di Abramo e l’esperienza del vero Israelita che canta: “Lampada per il mio piede è la tua Parola e luce sul mio cammino” (Sal 119, 105). 

p. Adolfo Lippi, passionista
_________________________

[1] P. Lapide, in P. Lapide-J.Moltmann, Israele e Chiesa: camminare insieme, Queriniana, Brescia 1982, 50-51.
[2] Citazioni prese da J. Elichaj, Ebrei e cristiani, Qiqajon, Bose 1995, 23 e 26.
[3] Rimando a A. Lippi, Lutero e la theologia crucis, in «La Sapienza della Croce», 1995, 339-358.
[4] L. Kaennel, Lutero era antisemita?, Claudiana, Torino 1999, 74-75.
[5] In P. Lapide – J. Moltmann, Israele e Chiesa… cit., 50-51.
[6] Il recente studio di Yvonne Sherrat I filosofi di Hitler (Bollati Beringhieri, Torino 2014) è illuminante su questo.
[7]Per quanto si possa discutere, dà molto da pensare anche lo studio di Shlomo Sand, L’invenzione del popolo ebraico (Rizzoli, Milano 2010).

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DIALOGO EBRAICO-CRISTIANO

DIALOGO EBRAICO-CRISTIANO

Cristiano, conosci tuo fratello? 

 Léon Dufour

Quanta polvere inutilmente sollevata da coloro che, dialogando, non conoscono il loro interlocutore! Enumeriamo alcune di queste conoscenze indispensabili, preliminari a ogni dialogo.

Ho letto, io cristiano, la dichiarazione del Concilio Vaticano II sugli ebrei?


So che dico una menzogna, una calunnia, che sono un persecutore, se continuo a parlare di “popolo deicida” a proposito del popolo ebreo?   

Persino il Concilio di Trento non aveva adoperato questo termine usato invece nelle traduzioni dei catechismi.

Sappiamo che Paolo stesso non è passato dall’ebraismo al cristianesimo, come è stato detto, ma è rimasto ebreo, fedele alla religione dei padri (Atti 24,14)? E che i primi cristiani erano tutti ebrei?  

Sappiamo che l’ebraismo non si definisce con una fede dogmatica, ma con una pratica di vita?

Perché questa conoscenza sia comprensione profonda, devo uscire dal circolo chiuso in cui vivo.

Qualcuno può obiettare che gli ebrei hanno messo, per primi, la siepe attorno alla Torah: l’hanno fatto per proteggerla contro perverse influenze.

Tocca a me lasciare il chiuso delle mie abitudini, del mondo in cui mi sono installato confondendo le pratiche religiose con la verità ultima, rigettando nel mondo delle tenebre gli ebrei che, per paura, si sono rinchiusi in se stessi. 

Devo superare la frontiera: certamente troverò un mondo molto diverso dal mio. Eppure quali ricchezze nuove da questo contatto!

Lungi dal criticare costumi che mi sembrano strani, come quello di tenere il capo coperto durante la preghiera o quello di cantare in modo diverso, ho pensato che Gesù di Nazareth ha pregato in quel modo, che i primi cristiani hanno vissuto così? Di più: ho osservato la somiglianza della prima parte della messa e dell’ufficio sinagogale?

Se mi reco al seder di Pèsah (cena di Pasqua) o alla festa di Kippur (dell’espiazione), non mi sono forse sentito più stimolato nella mia preghiera pasquale o nel mio comportamento penitenziale? E così per altre istituzioni.

Prima di percorrere le tappe di una autentica conoscenza, dobbiamo dissipare un pregiudizio che può causare mancanza di accordo. Quando si parla di amore nella conoscenza, ciò non significa solo provare visceralmente della compassione per un essere che soffre; a maggior ragione, non è neppure cercare di “convertire” l’altro alla propria verità.  


Rispetto forse la libertà cercando di imporre la mia fede?

Una delle riserve più profonde che gli ebrei fanno quando sono avvicinati dai cristiani, è di non voler essere considerati come una preda da conquistarsi alla verità cristiana. Secondo la recisa affermazione di André Neher, essi non vogliono essere dei “convertiti in potenza”. E quindi con spirito di autentica gratuità che devo avventurarmi alla conoscenza del mio fratello ebreo.

Padre Léon Dufour – teologo gesuita.
«Sefer» – Ottobre 1974

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PASTORE E OSPITE

PASTORE E OSPITE

Il Pastore guida, l’ospite accoglie.

Nel Salmo 23 (22), che risuona familiare alle nostre orecchie, sono due le immagini principali che ci parlano di Dio: il pastore e l’ospite.

Dio è cantato dal salmo innanzitutto come un pastore. Il pastore ha il compito di guidare, nutrire, spronare. La prima cosa che il salmista dice in riferimento a Dio come suo pastore è che egli “non manca di nulla” (v. 1). Il pastore è innanzitutto colui che non ti fa mancare nulla: la sicurezza del cibo per la vita, la sicurezza dai pericoli esterni, la sicurezza dalle avversità del tempo. Il pastore è per le sue pecore la garanzia di questa sicurezza che deriva dal fatto di sapere che c’è qualcuno che non ti fa mancare nulla. Gesù nel Vangelo di Giovanni si è presentato come “il buon pastore” (Gv 10,14). Egli non fa mancare nulla ai suoi discepoli, perché offre la vita per loro (Gv 10,11) e insegna loro che facendo altrettanto, cioè donando la vita, non si manca di nulla. Il buon pastore ci dice che è donando tutto che non si manca di nulla.

In secondo luogo il pastore nel Salmo è presentato come colui che fa riposare in pascoli verdeggianti. E’ colui che mi dà riposo. Nella Bibbia l’immagine del riposo appartiene al linguaggio della salvezza: entrare nel riposo di Dio, significa entrare nella sua vita, nel suo Regno. Ma poi il Salmo continua descrivendoci questo riposo nel quale il Signore ci fa entrare come un luogo dove scorrono acque tranquille che sono in grado di ricreare la nostra vita. Nel deserto, luogo comune per il pascolo nella terra di Israele, è difficile trovare acque tranquille. Quando l’acqua c’è, è impetuosa e pericolosa. Solo in alcuni posti, le oasi, c’è la possibilità di acque tranquille alle quali ci si può abbeverare senza pericolo. Gesù ha fatto sdraiare le folle che lo seguivano sull’erba verde per saziare la loro fame di Parola e di Pane (Mc 6,39). E’ l’erba verde del tempo pasquale, la primavera, che fa rifiorire il deserto, quella sulla quale il Signore fa riposare le folle per moltiplicare il pane per la loro e la nostra fame. Gesù si è mostrato capace di ricreare la vita degli uomini e delle donne che ha incontrato, dei peccatori che ha avvicinato, dei giusti che ha condotto ad interrogarsi sull’autenticità del loro rapporto con Dio. Egli, come un corso d’acqua tranquillo, ha ricreato la loro vita.

Il pastore è colui che ti mantiene sul retto cammino (v. 3). Il pastore non lascia vagare il gregge per strade sconosciute e pericolose, ma lo guida sulla strada giusta. Il pastore è colui che con il suo vincastro ti dà sicurezza (v. 4), anche quando cammini nel buio della notte. Gesù nel Vangelo di Giovanni si è presentato come la via (Gv 14,6) e di se stesso ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». (Gv 8,12). In Luca e in Matteo Gesù si è mostrato anche come quel pastore che, se ha anche una sola pecora che si perde, non si tira indietro dall’andarla a cercare per riportarla con gioia al pascolo insieme alle altre e fare festa per averla ritrovata. Ma Gesù è anche colui che guida il cammino dei suoi discepoli nella sua via verso Gerusalemme, che per loro era una strada “tenebrosa” e incomprensibile. La via di Gesù, per i suoi discepoli, era coperta dall’ombra della morte. Gesù è per loro il pastore che li guida su quella strada che essi non sanno comprendere e che percorrono passo dopo passo pieni di timore e impauriti (Mc 10,32). Gesù è per i suoi discepoli e per noi colui che tiene la rotta anche quando noi non comprendiamo dove stiamo andando. Anche a noi, come a Pietro, Gesù ripete: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo» (Gv 13,7).

In secondo luogo, nel Salmo, Dio si presenta come ospite: come colui che accoglie nella propria casa. Un’immagine molto forte per la cultura del Vicino Oriente Antico per la quale l’ospitalità è sacra più della propria vita e degli stessi legami familiari. Ci sono episodi, come nella storia di Lot, nei quali è più importante la vita dell’ospite che viene accolto sotto il proprio tetto, che quella dei famigliari più stretti. I doveri dell’ospitalità sono sacri: dare il cibo per il corpo, il ristoro per le fatiche, l’onore dovuto. Gesù ha sperimentato su di sé l’accoglienza nella casa altrui. Pensiamo all’accoglienza che ha ricevuto nella casa di Marta e Maria. Egli ha sperimentato su di sé l’onore dovuto agli ospiti per mano di una peccatrice che ha cosparso il suo capo di olio prezioso e ha lavato con le lacrime i suoi piedi (Mc 14,3). Ma Gesù è stato anche accogliente. Non aveva una casa di pietra dove abitare, ma accoglieva tutti alla sua mensa e sapeva ungere con l’olio della dignità filiale il capo di coloro che incontrava. Gesù stesso si è presentato come ospite accogliente per i suoi discepoli, dicendo: «io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno» (Lc 22,29-30).

Per questo, conclude il Salmo, perché Dio è mio pastore e ospite, bontà e amore mi accompagneranno per tutti i giorni della mia vita (v. 6). La bontà e l’amore sperimentata su di me, può ricreare la mia vita e farvi risplendere la stessa bellezza, per diventare anche noi pastori e ospiti.

Sant’Atanasio afferma che il Salterio «è come un giardino, tutto ciò che viene annunciato negli altri libri lo trasforma in canto» (Ad Marcellinum, 3). Il libro del Salterio, per il vescovo di Alessandria, ci parla di Cristo (Ibid. 6-9), ma anche, come uno specchio, ci parla di noi stessi: «mi sembra che i salmi diventino per chi li canta come uno specchio perché possa osservare se stesso e i moti della propria anima» (Ibid. 12). Il breve percorso che abbiamo fatto attraverso il Salmo 23 (22) ci ha fatto toccare come sia possibile leggere come in uno specchio la vita stessa di Gesù, come pastore e ospite. Ma questa contemplazione della sua vita può diventare specchio anche per noi che impariamo a leggere la nostra vita ad immagine della sua. Continua Atanasio: «ogni salmo viene detto e ordinato dallo Spirito in modo (…) farci dire ogni salmo come riferito a noi, come parole nostre per rammentarci i nostri sentimenti e correggere il nostro modo di vivere» (Ibid. 12).

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

Lunedì 18 marzo 2013 – V settimana di Quaresima

www.camaldoli.it

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Dove cercare Gesù

Dove cercare Gesù

Dove trovare Gesù? 

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

Veduta di Gerusalemme


Abbiamo celebrato in questi giorni la sua nascita, abbiamo cantata l’incarnazione del Verbo di Dio che ha posto la sua tenda in mezzo a noi, ma poi nella nostra vita di ogni giorno facciamo l’esperienza di Maria e Giuseppe di non trovare Gesù accanto a noi durante il viaggio. Il Vangelo di questa domenica ci può aiutare a rispondere a questa domanda così fondamentale per la nostra vita e per sperimentare per noi il senso dell’incarnazione oggi. Dove trovare Gesù?

Gesù va cercato innanzitutto a Gerusalemme. 

 Per Luca la Città santa ha un significato del tutto particolare. Luca scrive un’opera in due volumi nei quali Gerusalemme è il punto di arrivo e il punto di partenza. E’ il punto di arrivo verso il quale Gesù si dirige per compiere la sua Pasqua. Gran parte del Vangelo di Luca è costituito da un grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme come luogo nel quale doveva compiersi il suo “esodo”, il suo passaggio, l’evento della sua morte e risurrezione. Da Gerusalemme, poi, i suoi discepoli dovevano ripartire per raggiungere gli estremi confini della terra.

Gerusalemme è il luogo della Pasqua, della morte e risurrezione di Gesù, il luogo del dono della vita. Questo è il punto di arrivo e il punto di partenza per ogni uomo e donna alla ricerca di Gesù. Non si può trovare Gesù al di fuori della sua Pasqua, al di fuori da Gerusalemme.

Inoltre Gesù lo possiamo trovare nel Tempio seduto in mezzo ai maestri mentre li ascoltava e li interrogava. Il Tempio è il luogo scelto dal Signore per far abitare il suo Nome in mezzo al suo popolo. Non dobbiamo pensare il Tempio come la casa di un Dio lontano, ma come una casa tra le case. Il Tempio è il segno della presenza del Dio santo-altro in mezzo al suo popolo. Gesù lo possiamo trovare lì dove abita l’umanità che egli ha scelto per sua dimora. Non dobbiamo cercare Gesù lontano dagli uomini e dalle donne del nostro tempo, perché egli, come è nello stile del Dio di Israele, pone la sua tenda in mezzo a noi.

Ai tempo dell’esilio in Babilonia, quando i giudei sono costretti ad andare esuli lontano dalla loro terra, Ezechiele ci dice che la presenza, la gloria, del Signore si alza dal Tempio e si sposta verso oriente. Non è l’immagine di un Dio che abbandona il suo popolo nel momento del bisogno; non è un Dio che, irato, si allontana sdegnato dal suo popolo, ma è un Dio che va in esilio insieme al suo popolo proprio perché la sua presenza non è legata ad una costruzione di pietra. Dio ritorna ad essere un nomade, come lo era quando seguiva il cammino di Israele nel deserto verso la terra promessa.

Anche noi non possiamo trovare Gesù se non tra gli uomini e le donne del nostro tempo, perché egli abita lì dove essi abitano. E’ questo il senso del luogo del Tempio.

Nel Tempio Gesù è tra i maestri, mentre li ascolta e li interroga. Si tratta dei sapienti di Israele, esperti nella Legge, nelle Scritture. Non si può trovare Gesù al di fuori delle Scritture. Anche questo è un aspetto importante: non possiamo trovare Gesù se non nella sua Pasqua, nel suo abitare tra gli uomini e le donne del nostro tempo, alla luce delle Scritture, in dialogo con esse, ascoltando e interrogando.


Sono i tre luoghi nei quali anche noi oggi possiamo ritrovare Gesù: la sua Pasqua, l’umanità del nostro tempo, le Scritture ascoltate e interrogate. Ma per trovare Gesù in questi tre luoghi occorre l’atteggiamento sapiente di Maria: cercare il senso dei fatti che accadono nella nostra vita. E’ infatti la nostra esistenza il luogo nel quale ritrovare il dono della vita, l’incontro con l’umanità del nostro tempo, l’ascolto della Parola. L’atteggiamento di Maria non è un disincarnato spiritualismo, ma l’attenzione a ciò che la vita presenta. Il cuore nelle Scritture non è il luogo dei sentimenti, ma il luogo dell’intelligenza, il luogo dove si prendono le decisioni, dove si ascolta la Parola e ci si decide per Dio. Il cuore è ciò che noi chiameremmo coscienza. Ecco non basta conoscere i luoghi nei quali trovare Gesù, occorre anche l’atteggiamento intelligente di Maria che cercava il senso degli avvenimenti della sua vita. 

Monastero di Camaldoli – La Vergine 

Se avremo come Maria la capacità di meditare nel cuore, allora la vita vissuta come dono, l’umanità del nostro tempo e la guida delle Scritture sante saranno il luogo dove trovare Gesù nella nostra vita.

 Camaldoli, 30 dicembre 2012 – Domenica della Santa Famiglia




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