Meditazione su Israele e Chiesa: l’accecamento.
di Adolfo Lippi cp
«Per un lungo tratto di strada camminarono insieme coloro che credevano alla croce e quelli che dovevano portarla. In tal modo la passione del Nazareno divenne pretesto per una passio judaica senza fine nel cuore di un’Europa battezzata» Pinchas Lapide[1].
Sono assai note le raffigurazioni scultoree della Chiesa e della Sinagoga che si trovano in alcune cattedrali medioevali. La Chiesa, raffigurata come una regina trionfante, che inalbera la Croce come un vessillo di vittoria, la Sinagoga umiliata e con gli occhi bendati. La benda sugli occhi ricorda la Lettera di Paolo ai Romani, che parla di un accecamento o indurimento della vista per non aver riconosciuto il Messia. La splendida donna che simboleggia la Sinagoga nella Cattedrale di Strasburgo ha la testa chinata di fianco quasi ad indicare smarrimento.
E’ importante osservare che nel contesto paolino l’accecamento d’Israele riguardo al Messia ha una valenza positiva: serve a far entrare le genti nell’economia della salvezza preparata da Dio per Israele e per tutti gli uomini. Paolo arriva ad argomentare a favore di Israele dicendo: “Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità!… Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione per il mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?” (Rom 11, 12 e 15).
Segue il paragone della radice e dei rami con la seguente conclusione, della quale mi pare che la teologia cristiana si sia ben poco ricordata: “Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma la radice che porta te” (Rom 11, 18).
Nella teologia della sostituzione, dominante fino al recente Concilio, il discorso dell’accecamento fu di fatto estrapolato dal suo contesto. L’apostolo dei gentili è l’unico che abbia patito un’angoscia mortale di fronte all’orgoglio di alcuni cristiani gentili. Ha percepito un pericolo enorme e ha visto giusto. Come si può chiamare il fatto che gli altri cristiani non abbiano avuta alcuna percezione di questo male se non un accecamento? Che fossero così ciechi i crociati del Medio Evo, che dovevano essere assai ignoranti e grossolani, o lo fossero alcuni monaci fanatici lo si può pure comprendere. Ma cosa pensare di uomini impegnati al massimo a favore della giustizia di Dio e del bene comune come Giovanni Crisostomo, Girolamo o Ambrogio di Milano? Non c’è altra riposta se non che anche in essi c’erano dei punti oscuri nei quali non entrava la lucidità di Paolo, nonostante che i suoi scritti fossero considerati Scrittura rivelata.
Per Girolamo gli ebrei sono “serpenti la cui immagine è Giuda e la cui preghiera un raglio d’asino”. Per Giovanni Crisostomo sono “banditi perfidi, distruttori, dissoluti, simili ai maiali, che superano in ferocia le bestie selvatiche… essi immolano al diavolo i loro bambini”. Ambrogio di Milano si oppose all’imperatore Teodosio che aveva ordinato il ripristino di una sinagoga bruciata, scrivendogli: “E’ la mia negligenza ad impedirmi di dare io stesso fuoco alla sinagoga di Milano”[2].
E’ opinione ormai condivisa fra i teologi che il cristianesimo sia identificato in quanto tale dalla teologia della Croce. La croce è criterio ermeneutico e architettonico della teologia cristiana, cioè della conoscenza di Dio da parte dei cristiani. Se riflettiamo per un poco sul passo riportato sopra di Pinchas Lapde, è il caso di dire che, a parte singole persone sante, dalla parte della croce ci sono stati più gli ebrei come popolo che non i cristiani. O meglio che i popoli cristiani parlano della croce, ma il popolo ebraico la porta. Una croce diventata vessillo di potere mondano, come nell’allegoria medioevale della Chiesa, è ancora la croce dell’ebreo Gesù di Nazareth? C’è stato un accecamento diffuso e condiviso senza obiezioni.
Lutero fu il più lucido teorizzatore della teologia della Croce: mentre, per lui, la teologia della gloria cerca Dio attraverso le sue opere grandiose e potenti, la teologia della Croce “insegna che le pene, le croci e la morte sono il tesoro più prezioso fra tutti”, attraverso il quale Dio confonde la superbia e la boria dell’uomo e rivela se stesso in quello che può apparire il suo contrario[3]. Anche lui, però rimase totalmente accecato per quanto riguardava l’umiliazione e la sofferenza degli ebrei. Commenta una teologa protestante: “La chiave di volta della relazione fra Dio e gli uomini è Cristo, vero uomo e vero Dio. Una concezione teologica di tal genere conduce Lutero a contrapporre le sfortunate e movimentate peregrinazioni del popolo ebraico alla marcia trionfale (e sotto moli punti di vista trionfalistica, se soltanto si pensa all’allegoria della Chiesa incoronata e della Sinagoga con gli occhi bendati) della Chiesa cristiana. Paragonando le due storie, gli ebrei dovrebbero arrendersi all’evidenza che la collera di Dio è sopra di loro e che il Signore li ha abbandonati a favore dei cristiani”[4]. E’ un ragionamento rigorosamente opposto a tutta la theologia crucis teorizzata dallo stesso Lutero. Che cos’abbiamo qui, se non un altro esempio di accecamento?
Scriveva ancora Lapide: “Nel pensiero cristiano, il modo di interpretare le sofferenze conobbe una strana dissociazione. Per un verso alla luce della Passione di Cristo esse vennero considerate come un segno celeste del loro accoglimento da parte di Dio… D’altra parte le sofferenze del popolo da cui Gesù ha tratto origine venivano interpretate come il segno della ripulsa, ad opera dello stesso Dio… Si dimenticò e si rimosse il fatto che, stando al dato biblico, l’elezione di Dio e la sofferenza dei suoi eletti sono strettamente congiunte”[5].
La richiesta di perdono fatta dagli ultimi papi al popolo di Israele è stata un enorme progresso per il cammino dell’umanità verso Dio, per la crescita nella scoperta del Dio vivente. Il nostro sogno di oggi è che si faccia insieme un cammino di ascolto di Dio, Israele e Chiesa. Se l’alleanza con Israele non è stata mai revocata, ce ne possiamo noi disinteressare? E, se ci interessa, non lo esprimeremo nella preghiera, anche liturgica? Abbiamo tolto il negativo – oremus et pro perfidis judaeis – : perché non procedere al positivo? Ci possiamo disinteressare dello Stato di Israele e della Terra Santa? Una piccola preghiera liturgica c’è: quella del venerdì santo. Potrebbe ampliarsi.
Ma il caso più eclatante di accecamento non appartiene alle Chiese o alla fede ebraica, bensì ad una corrente di pensiero che dalla luce e dalla visione traeva la propria autocomprensione: l’illuminismo. Secondo questa corrente che ha influenzato e continua ad influenzare la modernità, l’istruzione e il progresso tecnico portano la luce e conseguentemente i comportamenti giusti, l’ignoranza e il rifiuto delle scienze causano l’accecamento e quei comportamenti malvagi e crudeli che noi giustamente deploriamo nelle epoche oscure. E’ accaduto, però, che l’accecamento più scandaloso e più gravido di conseguenze fatali per l’umanità non si sia verificato in tempi oscuri o in qualche nazione arretrata, ma nella nazione forse più evoluta culturalmente, ben ordinata e ben organizzata razionalmente nel secolo ventesimo. Chi ne ha sofferto di più è stato proprio quel popolo ebraico che era stato definito cieco. Mentre l’ubriacatura nazista raggiungeva il suo vertice, i filosofi ebrei Horkheimer e Adorno scrivevano Dialettica dell’illuminismo, che si potrebbe sintetizzare nella tesi secondo cui l’illuminismo tende a convertirsi nel suo contrario, cioè nell’oscurità e nella barbarie.
Non si sradicherà l’antisemitismo dall’Occidente finché non si andrà oltre il piatto egualitarismo illuminista e razionalista che presume delegittimare ogni elezione, ogni vocazione e ogni missione e rende così impossibile la comprensione della fede ebraica.
Ci domandiamo: come è stato possibile Hitler? Possiamo dire di prendere sul serio questa domanda se la traduciamo così: come è possibile che Hitler sia così vicino a noi nell’Occidente cristiano? Ci sono dei passaggi che si possono riconoscere e ripercorrere a volo d’uccello per prendere chiaramente coscienza di ciò che è avvenuto.
I cristiani di cultura greca hanno attuato l’inculturazione della fede cristiana nell’ellenismo, inculturazione che certamente ha avuto anche i suoi meriti. Questo, però, ha già distanziato la cultura cristiana da quella ebraica. Poi questa inculturazione ellenico-bizantina si è ancor più distanziata dalla fede di Israele nella Scolastica aristotelico-tomista. L’illuminismo rompe tanti altri legami. L’analisi che ne fa la Scuola di Francoforte dovrebbe essere studiata sistematicamente. Sia le ideologie fasciste sia quelle marxiste del secolo ventesimo manifestano questa deriva dell’illuminismo. Gli intellettuali in massa, salvo rare eccezioni, hanno canonizzato queste derive spaventose[6].
Mentre tutte le derive del pensiero occidentale si attuavano, un popolo rimaneva fuori e stava a guardare, subendo tutte le minacce di culture potenti quasi come una fatalità legata alla propria fede nell’elezione alla quale non poteva rinunciare, perché essa lo costituiva in quanto popolo[7].
Qui mi viene da ricordare l’ammonimento dell’ebreo Shaùl-Paolo: “Tu non insuperbirti, ma abbi timore. Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te” (Rom 11, 21).
Soltanto un popolo umile – o il popolo costituito da tutti gli umili della terra – potrà indicare la via dell’umiltà, che è la via della fede nel Dio vivente totalmente persa nella mentalità illuminista. Israele mostra che cos’è l’umiltà: non è certamente il ritenersi un popolo superiore ma non è neanche il ritenersi un popolo inferiore agli altri, bensì l’accettare con fiducia e fermezza il peso della fede nel Dio vivente che entra in rapporto con lui. Anche l’ebreo Gesù di Nazareth, che reclama con decisione il suo essere l’inviato del Padre, mostra alla stessa maniera che l’umiltà è la forza di portare il peso della verità della propria elezione fino al Calvario.
La conclusione della riflessione angosciosa e tuttavia piena di speranza di Paolo è: Dio ha chiuso tutti nella disobbedienza per fare a tutti misericordia (Rom 11, 32). Se l’alleanza fra Dio ed Israele non è stata mai revocata, come Paolo aveva insegnato, allora tutti quelli che hanno resistito alla tentazione di scrollarsela di dosso, sono martiri. Questo non ci porta alla disperazione del relativismo religioso e morale, ma solo alla consapevolezza che la storia dell’umanità, letta alla luce della Torah, cioè la storia di Dio nel mondo, va riscritta. E’ una storia punteggiata da diversi accecamenti e liberata progressivamente da autentiche illuminazioni. All’inizio di tutto c’è la fede di Abramo e l’esperienza del vero Israelita che canta: “Lampada per il mio piede è la tua Parola e luce sul mio cammino” (Sal 119, 105).
p. Adolfo Lippi, passionista
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[1] P. Lapide, in P. Lapide-J.Moltmann, Israele e Chiesa: camminare insieme, Queriniana, Brescia 1982, 50-51.
[2] Citazioni prese da J. Elichaj, Ebrei e cristiani, Qiqajon, Bose 1995, 23 e 26.
[3] Rimando a A. Lippi, Lutero e la theologia crucis, in «La Sapienza della Croce», 1995, 339-358.
[4] L. Kaennel, Lutero era antisemita?, Claudiana, Torino 1999, 74-75.
[5] In P. Lapide – J. Moltmann, Israele e Chiesa… cit., 50-51.
[6] Il recente studio di Yvonne Sherrat I filosofi di Hitler (Bollati Beringhieri, Torino 2014) è illuminante su questo.
[7]Per quanto si possa discutere, dà molto da pensare anche lo studio di Shlomo Sand, L’invenzione del popolo ebraico (Rizzoli, Milano 2010).