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“Profezia di San Malachia sui Papi”

“Profezia di San Malachia sui Papi”

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ORA BERGOGLIO CANCELLA RATZINGER (dopo aver abbattuto i pilastri del Pontificato di Giovanni Paolo II)

ORA BERGOGLIO CANCELLA RATZINGER (dopo aver abbattuto i pilastri del Pontificato di Giovanni Paolo II)

Con il Motu proprio “Traditionis custodes”, papa Bergoglio ha spazzato via la liberalizzazione della messa in rito antico di Benedetto XVI che, nel 2007, aveva voluto rispondere alla richiesta di tanti, anche giovani, attirati dall’antica liturgia la quale era stata proibita dopo il Concilio.

Joseph Ratzinger, che pure era un uomo del Concilio Vaticano II, aveva raccontato: “rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l’impressione che questo fosse del tutto normale”.

Ratzinger sottolineò che “Pio V (dopo il Concilio di Trento) si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli… senza mai contrapporre un messale a un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta… Ora invece” spiegava Ratzinger “la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche… si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro”.

Ratzinger sottolineava che ora “per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo. Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta”.

Quindi Benedetto XVI, con il “Summorum pontificum” del 2007, riparò un errore che non era affatto dovuto al Concilio Vaticano II, infatti la proibizione della liturgia latina contraddiceva la stessa Costituzione conciliare sulla liturgia e anche la Lettera Apostolica “Sacrificium laudis” di Paolo VI come pure la “Veterum sapientia” di Giovanni XXIII.

La cancellazione dell’antico rito era andato di pari passo con la scristianizzazione galoppante del ‘68 e con un drammatico crollo di civiltà.

Nel 2005, alla vigilia dell’elezione al pontificato di Benedetto, lo scrittore Guido Ceronetti, in una lettera aperta al nuovo papa su “Repubblica”, chiede: “che sia tolto il sinistro bavaglio soffocatore della voce latina della messa” e sia possibile celebrarla come quella in volgare “imposta da una riforma liturgica distruttiva”.
Lo scrittore aggiungeva: “Certamente non ignorerete quanto piacque alle autorità comuniste quella riforma conciliare dei riti occidentali; non erano degli stupidi, avevano nella loro bestiale ignoranza del sacro, percepito che si era aperta una falla”.
In effetti il rito latino era il concreto legame universale che univa i cattolici di tutto il pianeta in un’unica Chiesa guidata da Pietro e in un’unica fede.

D’altra parte, già negli anni Sessanta, in difesa dell’antica liturgia attaccata dai cattoprogressisti, si era pronunciata la migliore cultura laica e cattolica, che metteva in guardia dalla grave perdita di bellezza, di cultura e sacralità.

Nel 1966 e nel 1971 uscirono due appelli pubblici in difesa della Messa tradizionale di s. Pio V firmati da personalità come Jorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, i registi Bresson e Dreyer, Augusto Del Noce, Julien Green, Jacques Maritain (il filosofo vicino a Paolo VI a cui il Papa consegnò, alla fine del Concilio, il documento agli intellettuali), Eugenio Montale, Cristina Campo, Francois Mauriac, Salvatore Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Gianfranco Contini, Giacomo Devoto, Giovanni Macchia, Massimo Pallottino, Ettore Paratore, Giorgio Bassani, Mario Luzi, Guido Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e tanti altri come il famoso direttore del “Times”, William Rees-Mogg.

La decisione di Benedetto XVI, nel 2007, di recuperare la tradizione ebbe anche il sostegno di altre personalità come René Girard, Vittorio Strada, Franco Zeffirelli e il citato Guido Ceronetti.

Papa Bergoglio ora sostiene di aver azzerato la libertà di rito introdotta da Benedetto XVI perché essa, invece di creare unità del corpo ecclesiale (come volevano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), ha prodotto divisione e “un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’”.

Qui c’è anche del vero. In effetti c’è chi ha vissuto “la messa in latino” in modo un po’ settario, sentendosi “la vera Chiesa”. Ma papa Bergoglio confonde l’effetto con la causa.

A provocare il rifiuto (sbagliato) del Concilio in realtà non è il rito antico, ma casomai certe innovazioni “rivoluzionarie” del suo pontificato (che non c’entrano nulla col Concilio) o certi abusi nella liturgia in volgare che papa Bergoglio riconosce, ma su cui non interviene con proibizioni.

La decisione di Francesco, che azzera un pilastro del pontificato di Benedetto XVI, è un doloroso errore che toglie libertà e provocherà nuove divisioni. Il papa fa il grosso regalo ai lefebvriani dell’esclusività del rito antico e di alcuni fedeli. E la Chiesa è sempre più smarrita e confusa in questo tramonto di pontificato.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 17 luglio 2021

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Dio ci salvi dalla dittatura etica.

Dio ci salvi dalla dittatura etica.

“Vaccinarsi è un dovere etico” ha tuonato Papa Bergoglio. Il piano pandemico del ministero della sanità, in bozza, decreta: “i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio”. Traduci: con l’etica scegliamo chi salvare e chi no. L’etica prelude all’eugenetica. Ma il presidente del comitato di bioetica Lorenzo D’Avack condanna questa cernita. All’etica si appella sia chi dice di vaccinare prima i vecchi, sia chi dice di vaccinare prima i giovani. È ancora l’etica il freno d’emergenza che colpisce come una mannaia e una censura il mondo politically uncorrect, da Trump al filosofo Alain Fienkelkraut, fino ai sovranisti di casa nostra. Le leggi speciali, le commissioni di vigilanza, i tutori e i censori social che si abbattono come una scure su chi la pensa in modo difforme, si appellano all’etica. L’etica, l’unico Assoluto in vigore. Rischiamo la dittatura globale dell’etica; i suoi depositari non hanno alcuna legittimazione dall’alto o dal basso, religiosa o popolare, sono solo oligarchi

Tramonta la religione, sparisce la morale, fu sepolta l’ideologia, si modifica la natura e scompare il diritto naturale, si cancellano memorie storiche, tradizioni, principi e valori. Nel mondo globale, dominato dalla tecnologia e dall’economia, di tutta quella moria c’è solo un erede universale: l’etica, appunto. Se perfino un papa non si appella a valori religiosi e morali ma etici, se perfino la sanità non si appella a criteri medici ma etici, se la politica non affronta gli avversari sul terreno del confronto politico ma li squalifica sul terreno etico, e se perfino i colossi privati del web usano l’etica come alibi per censurare e favorire chi vogliono, vuol dire davvero che l’etica è diventata la nuova sovrana e giustiziera del pianeta. L’etica applicata agli algoritmi è devastante e dispotica.

Ma guai a parlare di Stato etico, quello no, è fascismo: ma l’etica che interviene dappertutto, che decide, discrimina, punisce, censura che cos’è se non la sua applicazione urbi et orbi? Il richiamo costante alla bioetica, all’etica degli affari, all’etica delle professioni, ai codici etici, segna il dominio di questo principio indeterminato; chi la decide, chi prescrive e proscrive ciò che va fatto, detto e pensato? Non una tradizione né un’esperienza storica consolidata, non una religione e un Dio né un dovere patriottico; ma a stabilirla e a decidere, è una casta, un’oligarchia che decide ciò che è etico e ciò che non lo è. Sono i tutori dello Spirito del Tempo, i virtuosi custodi dell’eticamente corretto; sono loro a stabilire il perimetro e poi a decidere chi è dentro e chi è fuori. Per questo anni fa parlai di un nuovo razzismo che sorveglia la società e la controlla come una cupola, dividendola in due razze diverse, una dannata e l’altra dominante: è il razzismo etico, più subdolo e invasivo del razzismo etnico. Anche la giustizia è in mano ai pasdaran dell’etica: sentenze, divieti, condanne e assoluzioni sono decise dai talebani dell’etica, processando parole e intenzioni prima che delitti e reati. L’etica fornisce ai suoi utenti pregiudizi indiscutibili.

Eppure l’etica che avevamo conosciuto negli studi classici, l’etica da Aristotele a Spinoza, a Hegel, era una dimensione culturale, civile, educativa fondamentale. Ma assunta a regina solitaria dal mondo, dopo aver fatto fuori religione e morale, tradizione e diritto naturale, storia e idee, somministrata e decisa da un nucleo inespugnabile e autoproclamato di custodi, diventa inquietante. E può generare una spirale di intolleranze destinata a sfociare nella violenza, nella rivolta e nella prova di forza. Se non si può discutere e dissentire, subentra la prova muscolare… Una deriva pericolosa.

Ci può portare ovunque, anche alla liquidazione dell’umanità, perfino all’avvento del transumanesimo, a un sistema di controllo totalitario, di sorveglianza etica invasiva… È curioso che imprese private come i giganti del web escano dalla neutralità di mezzi di comunicazione e nel nome dell’etica decidano selezioni, esclusioni e censure etiche, al di sopra degli stati e delle leggi. Come si è visto con TwitterFacebookGoogleYouTubeParler, ecc. Un inquietante scenario che si aggrava se si aggiungono forme sempre più penetranti di controllo e schedatura degli utenti (ora esplode il caso WhatsApp e l’esodo verso Signal e Telegram).

L’etica è l’alibi di questo controllo globale, e a differenza della politica, è al riparo dal consenso e dal dissenso, impermeabile al voto; è perentoria, assoluta benché arbitraria. Può essere etico il diritto alla vita come il diritto opposto a sottrarsi alla vita, con l’eutanasia, o il suicidio assistito, nel nome della dignità della vita. Può essere etico lasciare che le donne decidano la loro maternità o che si tuteli in primis la vita del nascituro. Può essere etico tutelare prima i più fragili, gli anziani, e può essere etico al contrario dare priorità ai più giovani. L’etica non è una pianta che nasce nella testa di qualcuno, medico, magistrato, ceo, politico o intellettuale, ma rimanda a un terreno precedente, e controverso, fatto di valori, esperienze, religioni, culture, popoli, tradizioni. Temperato dall’esercizio democratico del voto. L’etica non può ergersi a giudice assoluto della vita e della sorte, dei rapporti sociali e delle scelte pubbliche e politiche, ma deve far parte di un politeismo di principi, riferimenti e priorità. L’etica non può esistere senza passione di verità e ricerca della verità. Fermate l’etica che vuol farsi sovrana.

Marcello Veneziani

Tratto da: MV, Panorama n.4 (2021)

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Arcivescovo Carlo Maria Viganò: l’inevitabile apostasia dei vertici della Chiesa.

Arcivescovo Carlo Maria Viganò: l’inevitabile apostasia dei vertici della Chiesa.

L’Arcivescovo Carlo Maria Viganò e il Dr. Maike Hickson circa l’Altare Papale vuoto.

Eccellenza, in un mio recente articolo ho fatto notare che l’Altare Papale della Basilica Vaticana non viene utilizzato da quando fu profanato dall’offerta presentata all’idolo della pachamama. In quella circostanza, alla presenza di Bergoglio e della sua corte, fu compiuto un gravissimo sacrilegio. Qual è il Suo pensiero in proposito?

La profanazione della Basilica Vaticana nel corso della cerimonia conclusiva del Sinodo Panamazzonico ha contaminato l’Altare della Confessione, dal momento che sulla sua mensa è stato posto un vaso dedicato al culto infernale della pachamama. Trovo che questa ed altre analoghe profanazioni di chiese e altari ripropongano in qualche maniera altri gesti analoghi avvenuti nel passato e consentano di comprenderne la vera natura.

A cosa si riferisce?

Mi riferisco a tutte le volte in cui Satana si è scatenato contro la Chiesa di Cristo, dalle persecuzioni dei primi Cristiani alla guerra di Cosroe contro Bisanzio, dalla furia iconoclasta dei Maomettani al Sacco di Roma per mano dei Lanzichenecchi, e poi la Rivoluzione francese, l’anticlericalismo dell’Ottocento, il Comunismo ateo, i Cristeros in Messico e la Guerra civile in Spagna, fino agli esecrabili delitti dei Partigiani comunisti durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale e alle forme di cristianofobia che vediamo oggi in tutto il mondo. Ogni volta, invariabilmente, la Rivoluzione – in tutte le sue molteplici varianti – conferma la propria essenza luciferina, lasciando emergere la biblica inimicizia tra la stirpe del Serpente e la stirpe della Donna, tra i figli di Satana e i figli della Vergine Santissima. Non si spiega altrimenti questa ferocia contro la Madonna e i suoi figli.

Penso in particolare all’intronizzazione della “dea ragione”, che ebbe luogo il 10 Novembre 1793 nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, in pieno Terrore. Anche in quella circostanza l’odio infernale dei rivoluzionari volle sostituire al culto della Madre di Dio il culto di una prostituta, eretta a simbolo della religione massonica, portata a spalle, su una portantina, e collocata in presbiterio. Le analogie con la pachamama sono molteplici e rivelano la mente infernale che le ispira.

Non dimentichiamo che il 10 Agosto 1793, pochi mesi prima della profanazione di Notre Dame, era stata eretta in piazza della Bastiglia la statua della “dea ragione”, nelle sembianze della dea egizia Iside: è significativo ritrovare questo richiamo ai culti dell’antico Egitto anche nell’orrido presepe che oggi campeggia in Piazza San Pietro. Ovviamente le analogie che riscontriamo in questi eventi si accompagnano anche ad un elemento assolutamente nuovo.

Vorrebbe spiegarci in cosa consiste questo elemento nuovo?

Mi riferisco al fatto che mentre fino al Concilio – o, a voler essere indulgenti, fino a questo “pontificato” – le profanazioni e i sacrilegi erano compiuti da nemici esterni alla Chiesa, da allora gli scandali vedono coinvolti attivamente i vertici stessi della Gerarchia, nel silenzio colpevole dell’Episcopato e nello scandalo dei fedeli. La chiesa bergogliana sta dando di sé un’immagine sempre più sconcertante, in cui la negazione delle verità cattoliche si accompagna all’affermazione esplicita di un’ideologia intrinsecamente anticattolica e anticristica; e in cui non si nasconde nemmeno più il culto idolatrico di false divinità pagane – ossia dei demoni – che vengono propiziate con atti sacrileghi e profanazioni delle cose sacre. Mettere quel vaso immondo sull’Altare della Confessione è un gesto liturgico, con una precisa valenza e uno scopo non solo simbolico. La presenza di un idolo della “madre terra” è un’offesa diretta a Dio e alla Vergine Santissima, un segno tangibile che spiega in qualche modo le molteplici esternazioni irriverenti di Bergoglio nei riguardi della Madonna.

Non vi è dunque da stupirsi se chi vuole demolire la Chiesa di Cristo e il Papato Romano lo faccia proprio dal più alto Soglio, secondo la profezia di Nostra Signora alla Salette: «Roma perderà la Fede e diverrà sede dell’Anticristo». Mi pare che oggi non si possa più parlare di semplice “perdita della Fede”, ma si debba prendere atto del passo successivo, che si esplicita in una vera e propria apostasia, così come l’iniziale sovversione del culto cattolico con la riforma liturgica si vada evolvendo in una forma di culto pagano che comporta la sistematica profanazione del Santissimo Sacramento – specialmente con l’imposizione della Comunione nella mano, col pretesto del Covid – ed in un’avversione sempre più evidente nei riguardi dell’antica liturgia.

In sostanza, molte forme di iniziale “prudenza” nel dissimulare i veri intenti dei Novatori stanno venendo meno, rivelando la vera natura dell’opera dei nemici di Dio. Il pretesto della preghiera comune per la pace che ad Assisi legittimò lo sgozzamento di polli e altre abominazioni scandalose, oggi non serve più, e si teorizza che la fratellanza tra gli uomini può prescindere da Dio e dalla missione salvifica della Chiesa.

Qual è la Sua valutazione degli eventi a partire dallo scorso Ottobre 2019, in particolare l’abbandono del titolo di Vicario di Cristo da parte di Bergoglio, il fatto che non abbia più celebrato all’Altare Papale e la sospensione della celebrazione pubblica della Messa a Santa Marta?

Il principio filosofico secondo il quale «Agere sequitur esse» ci insegna che ciascuno si comporta conformemente a come è. Chi rifiuta di farsi chiamare Vicario di Cristo evidentemente ha la percezione che questo titolo non gli si confaccia, o addirittura guarda con disprezzo all’eventualità di essere Vicario di Colui che con le parole e i fatti dimostra di non voler riconoscere e adorare come Dio. O più semplicemente non considera che il proprio ruolo al vertice della Chiesa debba coincidere con il concetto cattolico del Papato, ma con una sua versione aggiornata e “demitizzata”. Allo stesso tempo, non considerandosi Vicario di Cristo, Bergoglio può anche esimersi dal comportarsi come tale, adulterando con disinvoltura il Magistero e dando scandalo all’intero popolo cristiano. Celebrare in pontificalibus all’altare eretto sulla tomba dell’Apostolo Pietro farebbe sparire l’argentino, metterebbe in ombra le sue eccentricità, quell’espressione perpetuamente disgustata che non si perita di dissimulare ogniqualvolta che celebra le funzioni papali: molto meglio primeggiare sul sagrato deserto di San Pietro, in pieno lockdown, riservando a sé l’attenzione dei fedeli altrimenti rivolta a Dio.

Ella riconosce quindi il valore “simbolico” degli atti di papa Francesco?

I simboli hanno un loro valore preciso: fu simbolica la scelta del nome, la decisione di vivere alla Domus Santa Marta, l’abbandono delle insegne e delle vesti proprie del Romano Pontefice, come la mozzetta rossa, il rocchetto e la stola, o lo stemma papale sulla fascia. È simbolica l’enfasi ossessiva su tutto ciò che è profano, ed altrettanto simbolica l’insofferenza verso tutto ciò che simbolicamente richiama contenuti specificamente cattolici. È forse simbolico il gesto con cui, all’epiclesi della Consacrazione della Messa, Bergoglio ogni volta copre completamente il calice, lo tappa con la mano, quasi a voler impedire l’effusione dello Spirito Santo.

Così, come nell’atto di inginocchiarsi dinanzi al Santissimo Sacramento si testimonia la fede nella Presenza Reale e si compie un atto latreutico nei confronti di Dio, nel non inginocchiarsi davanti al Santissimo, Bergoglio proclama pubblicamente di non volersi umiliare dinanzi a Dio, mentre non ha alcun problema a mettersi carponi davanti a degli immigrati o a funzionari di una repubblica africana. E nel prostrarsi davanti alla pachamama alcuni frati, suore, chierici e laici hanno compiuto un atto di vera e propria idolatria, onorando indebitamente un idolo e rendendo culto ad un demone. I simboli, i segni, i gesti rituali sono dunque lo strumento tramite il quale la chiesa bergogliana si manifesta per ciò che è.

Tutti questi “riti” della nuova chiesa, queste “cerimonie” più o meno accennate, questi elementi presi in prestito da liturgie profane non sono casuali. Essi costituiscono uno dei passaggi della Finestra di Overton verso l’accettazione di ciò che in realtà Bergoglio aveva già teorizzato nei suoi interventi e negli atti del suo “magistero”. D’altra parte lo stregone che fa il segno di Shiva sulla fronte di Giovanni Paolo II e il Buddha adorato sul tabernacolo di una chiesa di Assisi si comprendono nella loro perfetta coerenza con gli orrori odierni, esattamente come in ambito sociale prima di considerare accettabile l’aborto al nono mese si è dovuto legittimarlo in casi più limitati, e prima di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso si è prudentemente preferito lasciar credere che la tutela della sodomia non avrebbe messo in discussione l’istituto del matrimonio naturale.

Vostra Eccellenza ritiene quindi che questi eventi avranno uno sviluppo ulteriore?

Se il Signore, Sommo ed Eterno Sacerdote, non si degnerà di porre fine a questa azione di pervertimento generale della Gerarchia, la Chiesa Cattolica verrà sempre più oscurata dalla setta che le si sovrappone abusivamente. Noi confidiamo nelle promesse di Cristo e nella speciale assistenza dello Spirito Santo, ma non dobbiamo dimenticare che l’apostasia dei vertici della Chiesa fa parte degli eventi escatologici e non potrà essere evitata.

Ritengo che le premesse poste finora – e che rimontano in buona parte al Vaticano II – conducano inesorabilmente in modo sempre più esplicito verso una “professione di apostasia” dei vertici della chiesa bergogliana. Il Nemico esige fedeltà dai suoi servi e se all’inizio pare accontentarsi di un idolo di legno adorato nei Giardini Vaticani o di un’offerta di terra e piante posta sull’Altare di San Pietro, a breve egli pretenderà un culto pubblico e ufficiale, che sostituisca il Sacrificio perpetuo. Si concretizzerebbe cioè quello che profetizzò Daniele a proposito dell’abominazione della desolazione che sta nel luogo santo. Faccio notare l’espressione precisa della Sacra Scrittura: «Cum videritis abominationem desolationis stantem in loco sancto»; è scritto chiaramente che questo abominio starà, si troverà cioè in una posizione di sfrontata e arrogante imposizione di sé nel luogo che le è più alieno ed estraneo. Sarà uno sfregio, uno scandalo, una cosa inaudita dinanzi alla quale mancano le parole di condanna.

Cosa ci aspetta, se le cose continuano in questa direzione?

Ciò a cui stiamo assistendo rappresenta a mio parere la prova generale per l’instaurazione del regno dell’Anticristo, che sarà preceduto dalla predicazione del Falso Profeta, il Precursore di colui che compirà la persecuzione finale contro la Chiesa prima della vittoria definitiva e schiacciante da parte di Nostro Signore.

Il “vuoto simbolico” dell’Altare Papale non è solo un monito per quanti fingono di non vedere gli scandali di questo “papato”. Esso è in qualche maniera un modo con cui Bergoglio vuole abituarci a prendere atto di una mutazione sostanziale del Papato e della Chiesa stessa; a vedere in lui non già l’ultimo di una lunga serie di Romani Pontefici ai quali Cristo ha ordinato di pascere le Sue pecore e i Suoi agnelli, ma il primo capo di una multinazionale filantropicache usurpa il nome «Chiesa Cattolica» solo perché gli consente di godere di un prestigio e di un’autorità difficilmente eguagliabili, anche in tempi di generale crisi religiosa.

Il paradosso è quindi evidente: Bergoglio sa che può distruggere efficacemente la Chiesa e il Papato solo se viene riconosciuto come Papa; ma allo stesso tempo non può esercitare il Papato nel senso stretto del termine, perché così facendo dovrebbe necessariamente parlare, comportarsi e apparire come il Vicario di Cristo e il Successore del Principe degli Apostoli. È lo stesso paradosso che vediamo in ambito civile o politico, dove chi è costituito in autorità per governare la cosa pubblica e promuovere il bonum commune è allo stesso tempo emissario dell’élite e ha il compito di demolire la Nazione e violare i diritti dei cittadini. Dietro a deep state e deep church vi è sempre il medesimo ispiratore: Satana.

Cosa possono fare i laici e il clero per scongiurare questa corsa verso il baratro?

La Chiesa non appartiene al Papa, e men che meno ad una conventicola di eretici e fornicatori che con l’inganno e la frode è riuscita ad arrivare al potere. Dobbiamo quindi unire la nostra fede soprannaturale nell’azione costante di Dio in mezzo al Suo popolo con un’opera di resistenza, così come consigliato dai Padri della Chiesa: il Cattolico ha il dovere di opporsi alle infedeltà dei suoi Pastori, perché l’obbedienza che egli deve loro è finalizzata alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime. Denunciamo quindi tutto ciò che rappresenta un tradimento della missione dei Pastori, implorando il Signore di abbreviare questi tempi di prova. E se un giorno dovessimo sentirci dire da Bergoglio che per rimanere in comunione con lui dobbiamo compiere un atto che offende Dio, avremo un’ulteriore conferma che costui è un impostore, e che come tale non ha alcuna autorità.

Preghiamo, quindi. Preghiamo tanto e con fervore, memori delle parole del Salvatore e della Sua vittoria finale. Saremo giudicati non per gli scandali di Bergoglio e dei suoi complici, ma per la nostra fedeltà all’insegnamento di Cristo: una fedeltà che inizia dalla vita in grazia di Dio, dalla frequenza ai Sacramenti, dai sacrifici e dalle penitenze che offriamo per la salvezza dei Ministri di Dio.

Qual è il Suo auspicio per il prossimo Natale?

Il mio augurio è che questi tempi di prova ci permettano di vedere che dove non regna Cristo Re, si instaura inevitabilmente la tirannide di Satana; dove non regna la Grazia, si diffonde il peccato e il vizio; dove non si ama la Verità si finisce per abbracciare l’errore e l’eresia. Se molte anime tiepide non hanno saputo finora rivolgersi a Dio riconoscendo che solo in Lui possono trovare la piena e perfetta realizzazione della loro esistenza, forse possono ora capire che senza Dio la nostra vita diventa un inferno.

Come i pastori si prostrarono in adorazione ai piedi del Re Bambino, deposto nella mangiatoia ma significativamente rivestito delle fasce che nell’antichità erano prerogativa dei sovrani, così noi dobbiamo raccoglierci in preghiera attorno all’altare – fosse anche in una soffitta o in una cantina per sfuggire alla persecuzione o ai divieti di assembramenti – perché anche nella povertà di una cappella clandestina o di una chiesetta abbandonata il Signore scende sull’altare ad immolarsi misticamente per la nostra salvezza.

E preghiamo di poter vedere il giorno in cui un Papa tornerà a celebrare il Santo Sacrificio all’Altare della Confessione, nel rito che Nostro Signore insegnò agli Apostoli e che essi tramandarono intatto nei secoli. Sarà anche quello un simbolo della restaurazione del Papato e della Chiesa di Cristo.

§§§

Testimonium Veritati | 25 dicembre 2020 alle 17:41
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PG a Viganò: Come si può obbedire, Eccellenza?

PG a Viganò: Come si può obbedire, Eccellenza?

Eccellenza Reverendissima ho chiesto a Marco Tosatti di ospitare questa mia lettera dato che, non potendo firmarla, c’è un solo sito che merita la sua pubblicazione, Stilum Curiae.

Ho letto la Sua intervista su Life Site News a John-Henry Westen sulla pseudo- enciclica (chiamiamola così per non offendere le Encicliche dei grandi Papi), così come ho letto su Stilum Curiae la Sua lettera a Vincente Montesinos di Adoración y Liberación sul tema Obbedienza.

Mi riferisco ad entrambe perché è evidente come il tema – Obbedienza – si ponga verso un documento di magistero del Papa, sia pur di un livello così basso da toccare ormai il fondo del barile.

Dobbiamo obbedire a ciò che chiede Bergoglio in Fratelli Tutti?

Quando nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, si concluse la Guerra Fredda, il mondo riconobbe che ciò era avvenuto grazie ad una alleanza di fatto tra il mondo Occidentale libero e democratico, che aveva gli Stati Uniti quale leader, e la Chiesa Cattolica apostolica romana guidata da Papa Giovanni Paolo II.

L’Occidente fondato su valori cristiani si sentì vincitore verso una cultura di potere perversa qual era il comunismo.

Ma questa vittoria che fine ha fatto? Le radici cristiane sono oggi fondamento costituzionale dell’Europa?

I principi etici non negoziabili sono incorporati nelle nostre leggi?

No.

I valori che si sono affermati sempre più, sostituendo progressivamente quelli cristiani, sono stati i valori illuministici (uguaglianza, fratellanza…) ben camuffati naturalmente, essendo valori utopistici ed irrealizzabili senza fede in Dio.

Senza i valori cristiani, il mondo post guerra fredda ha fatto scelte che hanno portato alla crisi economico-sociale in corso ed alla creazione di un nuovo mostro più pericoloso dell’Unione Sovietica, la Cina armata del suo pragmatismo morale.

Eppure proprio in questi ultimi tempi la chiesa di Bergoglio sposa questi valori illuministici e questa alleanza cinese, ponendo fine ai valori morali del cristianesimo e ripudiando l’occidente.

Bergoglio sta realizzando un catto-neoilluminismo, ambientalista e filocinese, destrutturando la Genesi e la dottrina sociale della Chiesa.

Cosa diventeranno i diritti umani, la libertà personale, la bioetica, la dignità dell’uomo il bene comune in un mondo dominato dalla cultura cinese-bergogliana?

Oggi il vero maggior dramma che stiamo vivendo non è economico o politico, è morale.

La mancanza di un’autorità e guida morale; anzi il suo tradimento, è il nostro dramma. Bergoglio ha innalzato lui un MURO, ma verso i cattolici.

La Chiesa non c’è più, c’è la “Rete “, le Ong e i loro barconi, Greta e BillGates. Non si propone più fede, ma si accetta il ricatto ambientalista centrato sull’igiene grazie al Covid, che per Bergoglio è dovuto alla violenza che facciamo alla natura.

Bergoglio confonde bene e male con una forma di dottrina catto-neoilluminista utopistica e pragmatica.

Come si può obbedire Eccellenza?

PezzoGrosso

17 ottobre 2020

Fonte: “Stilum Curiae” di Marco Tosatti

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Terremoto in Vaticano: anche in Svizzera i soldi di Bergoglio c/c aperto nel 2015! Alla faccia della povertà!

Terremoto in Vaticano: anche in Svizzera i soldi di Bergoglio c/c aperto nel 2015! Alla faccia della povertà!

C’è qualcosa che non torna, nell’ultima storia vaticana, e riguarda il pontefice molto da vicino. Qualcosa di grosso: almeno 20 milioni di sterline, che al cambio di ieri fanno 22.023.884.903 euro. Cifra che stona con la retorica pauperista che avvolge il papato di Jorge Mario Bergoglio e legittima alcune domande, anche alla luce degli 1,14 miliardi di euro che ogni anno i contribuenti italiani, tramite l’Otto per mille, devolvono alla Chiesa cattolica. È normale che Bergoglio, nella banca privata svizzera Ubs, abbia un conto riservato che i documenti vaticani definiscono «Fondo discrezionale creato nel 2015 per le spese discrezionali del Santo Padre e dallo stesso autorizzate»? Un conto la cui consistenza è – presumibilmente – assai maggiore di quei 20 milioni di sterline che alcuni collaboratori infedeli hanno prelevato per le loro speculazioni? È normale, è credibile che un dipendente della segreteria di Stato vaticana, tale Fabrizio Tirabassi, assieme a monsignor Alberto Perlasca (già capo dell’ufficio che gestisce l’Obolo di San Pietro, ex collaboratore del cardinale Angelo Becciu, quindi nominato da Bergoglio magistrato del supremo tribunale della Segnatura apostolica) possa prendere simili cifre dal conto personale del Papa con la convinzione di farla franca? È normale che questi e molti altri soldi versati dai fedeli per sostenere la Chiesa e le sue opere di carità finiscano nelle parcelle di ricchissimi avvocati o – peggio – in speculazioni spericolate e fallimentari, realizzate in combutta con finanzieri che figurano nelle liste internazionali dei personaggi «ad alto rischio»? In altre parole: che Papa è Francesco? Dietro al grande moralizzatore dei costumi vaticani capace di mostrare il pugno con aria grintosa, del pastore che vuole una Chiesa povera e pretende comportamenti irreprensibili da chi lo circonda, si vede per la prima volta un uomo molto diverso. E parecchio solo. Un capo che non sa scegliere i collaboratori. Che non vede ciò che gli accade sotto il naso. Incapace di impedire che centinaia di milioni di euro versati dai fedeli finiscano in qualche conto criptato delle isole Cayman anziché in opere di bene. Che non è in grado nemmeno di proteggere il proprio «fondo discrezionale».

12.ottobre 2015

Fonte

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Gian Pietro Caliari,il Pontificato: “Fuori strada come un agnello perso”.

Gian Pietro Caliari,il Pontificato: “Fuori strada come un agnello perso”.

בַּמֶּ֣ה יְזַכֶּהנַּ֖עַר אֶתאָרְח֑וֹ לִ֜שְׁמֹ֗ר כִּדְבָרֶֽךָ (Salmo 119, 9).

 

Si tratta della domanda che soggiace a tutti gli altri interrogativi che scandiscono il più lungo dei Salmi dell’Antico Testamento: “In che modo un giovane dovrebbe purificare la sua strada? Per osservare secondo la tua parola”. E che che nell’ultimo dei suoi 179 versetti termina con una dolente constatazione e un invocazione d’aiuto: “Sono andato fuori strada come un agnello perso; cerca il tuo servo, perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti”.

 In questo Salmo il vero credente si riconosce come un Bar mitzwah, un figlio del Precetto che non vede nella Legge di Dio una mera prescrizione legalistica o ritualistica ma la sola הלכה Halakhah, il vero cammino che conduce alla Vita. “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva” (Deuteronomio 30, 15-16).

Nell’attuale e oltremodo salutare dibattito sul Concilio Vaticano II bisogna ripartire proprio dai sapienziali interrogativi posti dal Salmista, come per altro lo stesso Vaticano II dogmaticamente insegna:   “In religioso ascolto della Parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio fa sue queste parole di san Giovanni: Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (Dei Verbum 1). E aggiunge: “A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede, con la quale l’uomo gli si abbandona tutt’intero e liberamente prestandogli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” (Ibidem 5).

In questa sapienziale prospettiva, trascorsi ormai 55 anni dalla sua chiusura, è legittimo porsi alcuni interrogativi.

 Come, innanzi tutto, valutare gli esiti della tanto declamata “dimensione pastorale” del Concilio  Vaticano II?

 Se lo chiedeva nell’ormai lontano 7 dicembre 1965, lo stesso Paolo VI, chiudendo i lavori dell’Assise Conciliare: “Per valutarlo degnamente bisogna ricordare il tempo in cui esso si è compiuto; un tempo, che ognuno riconosce come rivolto alla conquista del regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale e sembra, a torto, suggerita dal progresso scientifico; un tempo, in cui latto fondamentale della personalità umana, resa più cosciente di sé e della sua libertà, tende a pronunciarsi per la propria autonomia assoluta, affrancandosi da ogni legge trascendente; un tempo, in cui il laicismo sembra la conseguenza legittima del pensiero moderno e la saggezza ultima dellordinamento temporale della società; un tempo, inoltre, nel quale le espressioni dello spirito raggiungono vertici dirrazionalità e di desolazione; un tempo, infine, che registra anche nelle grandi religioni etniche del mondo turbamenti e decadenze non prima sperimentate”.

 Appare legittimo osservare che a distanza di 55 anni a nessuna delle problematiche, così acutamente osservate e minuziosamente elencate dal Pontefice bresciano, la Chiesa Cattolica con la sua “pastorale conciliare” abbia saputo o potuto offrire, non solo un rimedio, ma pure un’alternativa convincente e credibile! Anzi, l’analisi montiniana appare oggi ancor più drammaticamente profetica!

 La Chiesa uscita dal Concilio, inoltre, – sempre secondo le parole di Paolo VI –  avrebbe dovuto offrire al mondo e all’uomo una “concezione teocentrica e teologica delluomo e delluniverso, quasi sfidando laccusa danacronismo e di estraneità, che si è sollevata con questo Concilio in mezzo allumanità, con delle pretese, che il giudizio del mondo qualificherà dapprima come folli, poi, Noi lo speriamo, vorrà riconoscere come veramente umane, come sagge, come salutari; e cioè che Dio È. Sì, È reale, È vivo, È personale, È provvido, È infinitamente buono; anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, nostro creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che quello sforzo di fissare in Lui lo sguardo ed il cuore, che diciamo contemplazione, diventa latto più alto e più pieno dello spirito, latto che ancor oggi può e deve gerarchizzare limmensa piramide dellattività umana” (Paolo VI, Allocuzione all’ultima seduta del Concilio Vaticano II).

 Ebbene, ci domandiamo, perché alla visione “teocentrica e teologica dell’uomo e dell’universo”, assistiamo oggi – drammaticamente – alla predicazione di un verbo pagano cosmocentrico e di un ateo neo-antropocentrismo, che hanno avuto e avranno il loro manifesto ideologico nell’Enciclica Laudato sì, nella Dichiarazione di Abu Dhabi e nell’accettazione del neo-umanesimo totalitario, che sarà certamente il leitmotiv dell’imminente Fratelli Tutti?

Dobbiamo constatare che, dopo quel lontano 7 dicembre 1965, è prevalso nella Chiesa un’ermeneutica conciliare dell’immanenza che, nel velleitario e blasfemo tentativo di trasformare il Vaticano II in “evento fondatore” della Chiesa stessa, l’ha pervertito privandolo della sua più intima ma essenziale dimensione e visione trascendente.

La Chiesa del postconcilio è stata sottoposta da molti suoi Pastori alla logica mondana dell’hic et nunc (qui e ora), perdendo la sua essenziale e imprescindibile dimensione dell’ibi et semper (là e sempre).

Il Vaticano II aveva pur ribadito che “Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa” (Lumen Gentium 1).

 Di questa Luce Divina la Chiesa doveva essere il sacramentum, un segno efficace, ma forse – come già osservava Romano Guardini, proprio in riferimento alla stessa Chiesa – “Viviamo in un mondo di segni ma abbiamo perduto la realtà da essi significata” (I santi segni, Brescia 1996, p. 117).

 L’attuale pontificato, infine, è solo il naturale epigono di quel Concilio o, invece, solo una ben miserevole eterogenesi delle finalità per le quali quell’Assise fu voluta e si tenne?

 Tenendo ben presente la gerarchia magistrale interna ai testi del Concilio stesso, di cui solo tre dogmatici (Sacrosantum Concilium implicitamente per materia trattata, Dei Verbum e Lumen Gentium per espressa titolazione), e distinguendo attentamente da ciò che il Concilio veramente auspicò e le molte e assai discutibili e persino deprecabili applicazioni post-conciliari – in primis la cosiddetta riforma liturgica! – ancora a Paolo VI di aiutarci nella risposta.

 “Possiamo noi dire daver dato gloria a Dio, daver cercato la sua conoscenza ed il suo amore, daver progredito nello sforzo della sua contemplazione, nellansia della sua celebrazione, e nellarte della sua proclamazione agli uomini che guardano a noi come a Pastori e Maestri delle vie di Dio? Noi crediamo candidamente che sì. Anche perché da questa iniziale e fondamentale intenzione scaturì il proposito informatore del celebrando Concilio. Risuonano ancora in questa Basilica le parole pronunciate nella Allocuzione inaugurale del Concilio medesimo dal Nostro venerato predecessore Giovanni XXIII, che possiamo ben dire autore del grande Sinodo. Egli allora ebbe a dire: Ciò che al Concilio Ecumenico massimamente interessa è questo: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e proposto con maggiore efficacia” (Allocuzione allultima seduta del Concilio Vaticano II).

 Quanto lontane, persino estranee, appaiano e siano queste parole non nel tempo ma dall’attuale direzione della Chiesa Cattolica, rapidamente imboccata da oramai sette anni, è lapalissiano!

 Dobbiamo coraggiosamente dirlo col il salmista: “Sono andato fuori strada come un agnello perso”. Quella strada, che come plasticamente afferma il Sommo Poeta, “ché la diritta via era smarrita” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, I,3).

 Un pontificato quello attuale “clinicamente morto” o “la parabola di un papato” – come è stato autorevolmente scritto? Più semplicemente, che è “andato fuori strada”, dalla strada di Colui che solo è Via, Verità e Vita!

Gian Pietro Caliari

Pubblicato da Marco TOSATTI – “Stilum Curiae”

8 ottobre 2020

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Riccardo Cascioli:” ‘Fratelli tutti’, visione opposta a Giovanni Paolo II”

Riccardo Cascioli:” ‘Fratelli tutti’, visione opposta a Giovanni Paolo II”

Mettiamo a confronto la visione di “Fratelli tutti” con l’omelia di inizio pontificato di san Giovanni Paolo II, quella del grido “Aprite le porte a Cristo”. Si tratta di due visioni completamente diverse, l’enciclica di papa Francesco è in chiara discontinuità con le encicliche sociali che l’hanno preceduta. Cosa deve pensare e fare un semplice fedele?

Detta in estrema sintesi: la nostra stessa natura ci indica che siamo tutti fratelli e che siamo chiamati a costruire la fraternità universale; per questo dobbiamo superare i nostri egoismi individuali, le nostre chiusure, per poter creare una società aperta basata sull’inclusione, l’amore per ogni uomo, la valorizzazione dei poveri e degli ultimi; per aiutare tutte le nazioni a questo scopo è necessaria in diversi campi una “global governance”, una autorità internazionale capace di indirizzare i singoli stati e sanzionarli quando si chiudono; anche le religioni, che tutte hanno una vocazione alla fraternità universale, devono aiutare a questo scopo, e un esempio è il documento sulla fratellanza umana firmato nel febbraio 2019 da papa Francesco e il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb (la dichiarazione di Abu Dhabi) che è l’ispirazione principale di questa enciclica.

Questo per sommi capi il pensiero portante di Fratelli tutti, l’enciclica di papa Francesco pubblicata domenica 4 ottobre.

Per una curiosa coincidenza il giorno prima, alla Giornata della Bussola, abbiamo riascoltato il famoso passaggio dell’omelia di inizio pontificato di san Giovanni Paolo II (22 ottobre 1978), che è stato anche il programma e la sintesi del suo pontificato: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!».

Una breve omelia, in cui si annunciava con certezza la potestà di Cristo sul mondo e la missione evangelizzatrice della Chiesa, come peraltro definita dal Concilio Vaticano II. L’incertezza, la disperazione dei singoli uomini così come dei popoli, ha una sola risposta, diceva Giovanni Paolo II: Gesù Cristo. «Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna».

L’impostazione dell’enciclica “Fratelli tutti” non poteva dunque non riportare alla mente quelle parole di Giovanni Paolo II, appena riascoltate. Perché esprimono due visioni radicalmente diverse, direi opposte. E questo non può non suscitare alcune domande.

Per papa Francesco scopo ultimo di ogni uomo, cristiani in testa, è costruire la fraternità universale: basta la sola ragione umana per concepirla e riconoscere gli strumenti necessari a realizzarla. E le religioni, tutte indistintamente, devono essere un aiuto a questo perché a a questo scopo, tutte indistintamente, sono chiamate.

Per san Giovanni Paolo II, invece, solo Cristo è risposta esauriente alle domande dell’uomo come dei popoli, tutto il mondo è sotto la Sua potestà, solo Lui ha «parole di vita eterna».

La visione che papa Francesco esprime nella “Fratelli tutti” non è una declinazione di quella certezza espressa da san Giovanni Paolo II, è chiaramente un’altra cosa. Essa è piuttosto in sintonia con il pensiero che ispira “Our Global Neighborood” (Il nostro vicinato globale), il Rapporto della Commissione Onu sulla Global Governance, pubblicato nel 1995, che disegna un’etica globale per un mondo pacificato e fraterno. L’ispirazione e i valori fondanti di questa etica globale sono chiaramente assimilabili a quelli espressi nella “Fratelli tutti”. Si tratta di un manifesto socialisteggiante e utopistico che pretende di comprendere ogni «paese, razza, religione, cultura, lingua, stile di vita». Le religioni, che possono ritrovarsi su questi valori comuni, sono ovviamente necessarie in questo disegno, perché hanno la capacità di controllare una percentuale altissima della popolazione.

La prima domanda sorge dunque naturale: è questa prospettiva compatibile con la visione cattolica? Se stiamo a Giovanni Paolo II, che richiama il Concilio Vaticano II, decisamente no. La pace, la fraternità è possibile – dice san Giovanni Paolo II – se i confini degli Stati si aprono alla potestà di Cristo, non agli immigrati; se alla potestà di Cristo si aprono i sistemi economici, politici, la cultura, ogni aspetto della società. La Chiesa esiste solo per vivere e annunciare questo.

Non c’è bisogno di molti ragionamenti per rendersi conto che la “Fratelli tutti” è un rovesciamento di questa visione. Chiaramente non si tratta di due sensibilità diverse, o di sottolineature di aspetti diversi di una stessa visione dati dal vivere due momenti diversi della storia. Nel leggere la Rerum Novarum di Leone XIII e la Centesimus Annus di Giovanni Paolo II si percepiscono i cento anni che separano le due encicliche, ma è altrettanto chiara la continuità che esiste nella visione dei due pontefici.
Qua ci troviamo di fronte a qualcosa che invece rompe questa continuità e non può essere un caso che circa due terzi dei richiami di questa enciclica siano citazioni di precedenti discorsi, messaggi ed encicliche dello stesso papa Francesco.

E qui un’altra domanda diventa inevitabile: cosa deve pensare e fare un semplice fedele che non vuole chiudere gli occhi davanti a questa evidente discontinuità?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana di Antonio Socci .Editoriale  del 06.10.2020

lanuovabq.it

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Giuseppe Conte ad Assisi

Giuseppe Conte ad Assisi

Conte ad Assisi a sdoganare lo slogan della P2 di Gelli: “piano di rinascita”, ubbidendo al massone Bergoglio che, come ha notato Mons.Viganò parlando dell’enciclica di Bergoglio: “è scandalosa, con un’impronta massonico/ mondialista e non ha nulla a che vedere con nessun precetto cristiano”. Ovvio in pochi l’abbiamo notata…e a proposito di notare: Conte, i frati e i fan di Conte sono tutti immuni…come mai loro in chiesa senza mascherine, distanziamenti, possono anche toccarsi…mentre i plebei devono comportarsi come fossero in sala operatoria? Ma possibile che i covidioti non vedano quello che hanno sotto gli occhi ogni giorno?

da Anna Gentileschi

Assisi, 5 ottobre 2020

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Il Papa marxista che manda la Chiesa alla deriva.

Il Papa marxista che manda la Chiesa alla deriva.

Circola una battuta: i cinesi hanno qualche imbarazzo a farsi ricevere in Vaticano, perché Bergoglio è troppo comunista. Un cliché, d’accordo, ma ogni cliché nasconde un pizzico di verità e qui più che pizzichi sono manciate, sono palate: ci sarà una ragione se il papa argentino è stato adottato dalla sinistra come ultima spes del marxismo riverniciato. Se rifiuta di accogliere Mike Pompeo, segretario di stato Usa, se con Donald Trump fa la faccia schifata come con l’ex presidente del suo paese, Macrì, se il vescovo di Hong Kong lo tiene a cuccia, se Matteo Salvini non vuole vederlo neanche dipinto e lo umilia platealmente e invece non si fa problemi coi dittatori sudamericani che gli regalano allucinanti Crocifissi sulla falce e martello.

Fama da prete di sinistra

Bergoglio riposa in fama di prete di sinistra, affiliato alla teologia della Liberazione di Romero ma è un abbaglio, Bergoglio se mai è un pastore da  barricata, vicino a posizioni anarcoidi: il Messaggero scrisse tre anni fa, mai smentito, dei suoi appoggi, anche finanziari, alla galassia dei centri sociali; all’arruffapopoli Casarini dice “vai avanti fratello mio” e sulle Ong che trafficano clandestini non trova mai altro che elogi incondizionati e sconclusionati. Arrivò perfino a giustificare, se non scusare, gli stragisti islamisti di Charlie Hebdo con la delirante uscita aerea su quelli da prendere a pugni se ti toccano la mamma. Che poi il suo marxismo appartenga a Karl o piuttosto a Groucho, è questione più sfumata, forse insolubile.

Non un Papa sociale: un Papa militante. Fazioso come lo sono le milizie a senso unico. Ma può un Papa permettersi di essere spericolatamente fazioso? Sempre tardivo, sofferente quando si tratta di difendere le mattanze dei cristiani per il mondo, entusiasta e quasi minaccioso se c’è da schierarsi in favore di altre religioni, anche nei loro aspetti antitetici e devastanti per il cristianesimo. Bergoglio lascia correre e non condanna mai episodi di devastazioni di chiese, di statue, di simboli della santità cristiana ma si scatena appena sente eccepire sulla sacralità emblematica dell’Islam. C’è chi insinua: fatto fuori Ratzinger, dopo Ratisbona, a suon di attentati e roghi, sono stati gli imam ad imporre un capo cattolico di loro gradimento dietro il ricatto della strage diffusa, infinita. Anche questo, probabilmente, un cliché ma anche qui un pizzico di verità o almeno di plausibilità sembra affiorare.

Differenze con Wojtyla

La patente sgarberia alla massima diplomazia americana è resa ancora più bruciante dalla motivazione, offensivamente pretestuosa: il Vaticano non si presta a campagne elettorali. Qualcosa di puerile, che con Wojtyla non sarebbe mai potuto accadere se è vero che il Papa polacco anticomunista, antimodernista, a suo modo anticapitalista incontrava sì i dittatori da destra a sinistra, da Pinochet a Castro: ma poi, in privato, li strigliava, dettava le sue condizioni. Bergoglio non si preoccupa neppure di dissimulare, a seconda dell’identità ideologica, disprezzo o compiacenza.

Questo pontefice ringhioso ma debole, umorale, si disinteressa delle questioni finanziarie fino a che non esplodono in tutte le sue drammatiche contraddizioni ma contraddizioni che egli per primo ha alimentato; nomina e caccia, ma le nomine le decide lui o chi per lui e se si dimostrano perverse o disastrose la responsabilità è anzitutto sua. Lui invece si comporta sempre come il padrone che scarica tutto sui sottoposti. Teologicamente è difficile trovarci qualche sostanza, le sue encicliche viaggiano su un terzomondismo climatista che sfiora l’infantilismo di Greta o di Carola, le grandi riforme interne alla macchina vaticana sono rimaste pie intenzioni, la Chiesa come comunità dei fedeli implode in un messaggio solidaristico, sì, caritatevole, ma senza respiro, senza concretezza, senza grandezza. Senza autorevolezza.

Una riduzione ai minimi termini che i prelati conservatori non possono accettare, mentre i progressisti stanno alla finestra. Ma se i preti progressisti sono i don Biancalani o gli esagitati che su Twitter augurano morte violenta a Trump e Salvini, se hanno la faccia del cardinale elemosiniere che aiuta i parassiti del centro sociale a rubare la corrente elettrica alla comunità, allora non c’è da rallegrarsi. La Chiesa non è una Ong e non è un ente assistenziale e che il suo sommo pontefice sia finito sulla bandiera al posto di Guevara dovrebbe preoccupare anche i cattolici che se ne compiacciono.

Non è necessario essere cardinali duri, duramente conservatori come Robert Sarah per capire che la Chiesa è una nave mandata alla deriva da un nocchiero che non sembra preoccuparsene affatto.

Max Del Papa, 2 ottobre 2020

da Nicola Porro – Facebook

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