“Profezia di San Malachia sui Papi”
Uno studioso romano, Alfredo Barbagallo, ha fatto sorprendenti scoperte sull’antica “profezia di Malachia”, spesso citata sui media, ma ben poco conosciuta. Sono scoperte che proiettano quell’antico testo proprio ai giorni nostri e addirittura a persone viventi oggi.
Il documento “Prophetia Sancti Malachiae Archiepiscopi, de Summis Pontificibus” consiste in una serie di 111 motti in latino – alquanto enigmatici – su ciascun pontefice che avrebbe regnato nella Chiesa a partire da Celestino II (papa dal 1143) fino alla fine dei tempi.
La misteriosa profezia, attribuita a S. Malachia di Armagh, amico di S. Bernardo di Chiaravalle, fu pubblicata nel 1595 dal monaco benedettino Arnold de Wyon in un’apocalittica storia della Chiesa – con al centro il suo ordine – intitolata “Lignum vitae”.
L’elenco dei papi futuri si conclude proprio ai giorni nostri: l’ultimo papa, “Gloria olivae”, coincide con Benedetto XVI.
Dopo il motto relativo a lui si legge questa inquietante conclusione: “Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa, risiederà Pietro Romano, che farà pascolare le sue pecore fra molte tribolazioni. Passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine”.
Non proprio tranquillizzante. Secondo gli interpreti non è detto che la profezia di Malachia prospetti la fine del mondo per la nostra epoca.
Di sicuro però paventa – dopo “Gloria olivae” (Benedetto XVI) – una sorta di “fine” della Chiesa, ovvero una sua crisi mai vista prima, un suo oscuramento apocalittico al punto che il suo successore non è definito papa, come i precedenti, ma con la strana formula: “Petrus Romanus”.
Perché? Non è un papa autentico? E si riferisce a Giorgio Mario Bergoglio? Di fatto la serie dei pontefici si interrompe al 111°, con Benedetto XVI. Cosa accade dopo?
Il motto “Petrus Romanus” calzerebbe a Bergoglio per la ripetuta autodefinizione bergogliana come “vescovo di Roma”, fin dalla sera della sua elezione.
E per il fatto che Benedetto XVI resta tuttora papa, sia pure in sospeso, e lui sembra un facente funzioni. Inoltre il suo tempo – nella “profezia di Malachia” – è connotato dalle “molte tribolazioni” del gregge. Come in effetti accade.
E’ stato dimostrato che molte delle formule di quel misterioso testo medievale risultano profetiche dei diversi pontefici.
Ma lo è anche il finale sull’epoca attuale? Ne ha scritto Vittorio Messori e pure Sergio Quinzio nel 1995 in “Mysterium iniquitatis”.
Di sicuro i nostri giorni presentano una situazione mai vista prima, nella storia della Chiesa: la compresenza di due papi. Un fatto enorme e inspiegabile che – in effetti – sembra coincidere con quelle due figure finali della profezia.
Ma ci sono indizi che inducono a identificare quei due personaggi con Benedetto XVI e Giorgio Mario Bergoglio?
Li suggerisce lo studio di Barbagallo intitolato “La Profezia di san Malachia sui Papi”, che è parte di una ricerca sulle reliquie cristiane intitolata “I tesori di san Lorenzo” (un volume di 800 pagine appena uscito in versione ridotta).
Barbagallo ricorda anzitutto che l’identificazione di Benedetto XVI con l’ultimo motto “Gloria olivae” rimanda all’ulivo come simbolo dei benedettini olivetani (dove si legano il nome Benedetto e l’ulivo).
Ma soprattutto è un benedettino quell’Arnold de Wyon che custodiva l’antico testo di san Malachia e che lo pubblicò a Venezia nel 1595, in quella sua storia apocalittica della Chiesa.
Wyon non si limitò alla pubblicazione, infatti – spiega l’autore – “egli commissiona personalmente delle raffigurazioni pittoriche ed artistiche sul soggetto ecclesiastico della Gloria benedettina”.
Una nel convento benedettino della Scolca, nell’area di Rimini. Poi fa eseguire la stessa figurazione dal Vassilacchi (nel 1592) nella basilica benedettina di San Pietro, a Perugia: è una delle tele più grandi che esistano e l’insieme delle figure lì rappresentate (papi, cardinali, vescovi e fondatori di ordini che attorniano San Benedetto) fa trasparire, nel suo insieme, un volto mostruoso: il demonio o l’Anticristo.
“Evidente qui la volontà di Wyon” scrive Barbagallo “di lanciare un messaggio particolare di salvaguardia della Chiesa future nella lotta contro il Male”.
Infine Wyon fa realizzare la stessa rappresentazione in Piemonte (oggi è conservata ad Alessandria), “all’abbazia benedettina ora non più esistente di San Pietro in Bergoglio, non distante da Boscomarengo”.
Torna il riferimento a san Pietro in ambedue le chiese, ma soprattutto qua colpisce il nome “Bergoglio”.
Non si sa perché Wyon scelse proprio quella fondazione benedettina, ma sorprende l’emergere di quel nome che rimanda oggi al successore di Benedetto XVI e che nella serie dei papi dovrebbe essere “Petrus romanus”. Un’indicazione diretta di Wyon?
In tutte queste opere Wyon ha volute lasciare riferimenti apocalittici ai libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Ma le coincidenze non sono finite. Barbagallo riprende un introvabile libro scritto da un padre gesuita francese, mons. René Thibaut e pubblicato nel 1951 (con imprimatur ecclesiastico): “La mystériuese prophétie des Papes”.
Padre Thibaut, attraverso una serie di complicati calcoli, afferma che la fine cronologica della profezia di san Malachia, come ciclo pontificale, sarà nell’anno 2012.
Barbagallo nota che in effetti – secondo le notizie ufficiali – la data in cui Benedetto XVI comunica al suo Segretario di Stato la sua volontà di ritiro è il 30 aprile 2012 (l’annuncio pubblico sarà fatto l’11 febbraio 2013).
In base a cosa padre Thibaut era giunto a indicare proprio il 2012 come anno finale del ciclo profetico dei pontefici?
Assumendo come asse centrale della “Profezia di Malachia” il pontificato di san Pio V (1504-1572) che era stato fondamentale nella formazione del Wyon. Ed ecco un’altra serie di coincidenze: san Pio V è originario proprio di Boscomarengo nella cui area sorgeva l’abbazia di San Pietro in Bergoglio (da qui ha origine anche il nucleo familiare di Bergoglio).
Pio V muore il 1° Maggio 1572, esattamente 440 anni prima della decisione di ritiro di Benedetto XVI (30 aprile 2012). Ma 440 anni prima della morte di san Pio V, nel 1132, si ha l’ordinazione di san Malachia di Armagh (il titolare della profezia dei papi) come arcivescovo e primate d’Irlanda. Due fasi di 440 anni ciascuna ed ecco che il ciclo è compiuto.
Ricordo che san Pio V è il papa della vittoria di Lepanto e colui che promulgò la messa tridentina a cui Benedetto XVI ha ridato cittadinanza nella Chiesa (è uno dei connotati del suo pontificato) mentre Bergoglio sembra puntare proprio sull’attacco all’eucaristia e sullo stravolgimento ecumenico della messa.
Il richiamo finale della profezia alla persecuzione dei cristiani e a una sorta di scomparsa del papato inducono Barbagallo a dare anche una lettura simbolico-teologica del motto dell’ultimo papa “Gloria olivae”.
Infatti nel suo excursus storico l’autore ritrova san Malachia e il papa del suo tempo in relazione a importantissime reliquie della Passione di Cristo e al luogo del suo inizio: l’Orto degli ulivi a Gerusalemme.
Secondo una tradizione mistica e scritturistica la Chiesa nella storia dovrà rivivere la stessa Passione del suo Signore. A cominciare dalla notte dell’Orto degli ulivi (Gloria olivae) che potrebbe ripetersi proprio al tempo del papa “Gloria olivae” (Benedetto XVI).
In quella notte di Gesù, con il tradimento di Giuda, la fuga degli apostoli e il rinnegamento di Pietro, tutto sembrò perduto e finito. Anche per i cattolici oggi sembra una notte dolorosa in cui tutto pare perduto. Ma dopo il buio del Getsemani viene la luminosa mattina di pasqua.
.
Antonio Socci
(nella foto: Trionfo dell’ordine benedettino di Antonio Vassilacchi, Basilica di San Pietro, Perugia)
.
Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”
Twitter: @AntonioSocci1